Selling Britain By the Pound

farge_2510895bIl prossimo sette maggio, i britannici andranno alle urne per le elezioni politiche 2015, dopo un anno di tumulti politico-istituzionali che ha visto la secessione sfiorata – con il referendum scozzese – e la vittoria Ukip alle ultime europee. A poche ore dall’inizio formale della campagna elettorale (il 19 dicembre), l’esito delle elezioni si annuncia più che mai imprevedibile: era dalle politiche del 1945 che i due partiti non si fronteggiavano da posizioni così ravvicinate nei sondaggi. A complicare il quadro, la frantumazione territoriale del voto, con i vecchi equilibri dell’Unione ormai per sempre alterati dal referendum scozzese. Conservatori e laburisti sono dati entrambi al 31%, con i primi che al momento conseguirebbero 282 seggi contro i 280 del Labour. Non si azzardano dunque pronostici: nel caso in cui nessuno dei due partiti ottenga una maggioranza assoluta, l’ipotesi dell’Hung Parliament (parlamento sospeso) è data al 91%. Questo renderebbe probabili un parlamento di minoranza, o un’altra coalizione. In questo caso, a giudicare dal tonfo dei Libdem, sembra proprio che l’ago della bilancia – o il “kingmaker” – sarà Nigel Farage. Il trend è comunque quello della progressiva perdita di rilevanza dei due partiti su cui si poggia il sistema, di cui hanno beneficiato notevolmente lo stesso Ukip e lo Scottish National Party di Nicola Sturgeon, che in Scozia ha spazzato via la storica roccaforte Labour. A capitalizzare della catastrofica parabola dei Lib-dem sono soprattutto i Verdi, che da tre mesi li hanno saldamente agganciati nei sondaggi.

(il manifesto, 18-12-14)

Autoimmobilismo

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Ieri ho fatto un’intervista televisiva a Fernando Alonso, appena confermato come pilota McLaren per la prossima stagione di F1 – uno sport dall’abolizione democraticamente improrogabile – e il boss della scuderia, Ron Dennis.

L’intervista ha avuto luogo nel quartier generale della McLaren a Woking, avveniristico quanto gelido complesso disegnato da Norman Foster che fuori pare un edificio della Nasa e dentro un Apple Store.

Fortissima la tentazione di chiedere a entrambi se preferiscono i propulsori a metano o a GPL.

Appello per gli assenti

white-civil-rights-opposition2L’ondata di violenza repressiva a danno dei neri che attraversa l’America in questi mesi ha scatenato un prevedibile profluvio di analisi e discussioni. Si può senz’altro commentare la persistente atmosfera parasegregazionista in tante parti del continente nordamericano. Ma visto che il pop interviene ormai costantemente con autoassolutorio (e peloso) paternalismo nella sfera civile (cfr. il caritatevole ritorno dell’armata Geldof pro-Ebola con un brano il cui titolo è sempre lo stesso vecchio insulto colonialista agli africani), c’è un bisogno quanto mai urgente di voci che stigmatizzino l’ingiustizia senza fronzoli ipocriti.

“Roll call For Those Absent” (Appello per gli assenti) si trova nell’ultimo album di uno dei più interessanti trombettisti e compositori jazz in circolazione. E’ una lista di nomi di giovani e adulti neri ammazzati dalla polizia negli ultimi anni, letta dalla figlia piccola del batterista della band. Una lista di cui ancora si continua a non vedere la fine.

Cosa vuol dire inchiodare l’essenza dell’ingiustizia con una manciata di note e una sfilza di nomi pronunciati dalla voce innocente di una bambina? Qualcosa di simile all’ascolto di questo pezzo. Dice più di mille articoli di denuncia.