In Manchester, per Manchester

La città di Manchester ha risposto egregiamente all’indicibile orrore dell’Arena. Durante la veglia a St. Anne Square, la folla ha cantato una canzone degli Oasis, Don’t Look Back In Anger. Oltre a essere uno splendido segno di coesione e inclusione, l’episodio dimostra come la cultura pop, in un luogo che ne ha prodotta tanta e di ottima qualità, abbia sostituito il repertorio tradizionale cui si sarebbe attinto in passato in una situazione simile: canti di chiesa, da stadio, inni nazionali. Tutte robe alle quali bisognerebbe sentirsi vicini come il rinascimento alla rinascente.

È stato un momento davvero commovente, e benché uno in cui le considerazioni estetiche suonino quasi offensive, quella è la canzone bruttina di una band peggiore.

Questa è una bella canzone di eroici veterani post-punk, non britpop incrostato di blairismo. Anche se sono di Londra.

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Manchester e la convivenza col terrore

Il professor Roger Griffin insegna storia moderna presso la Brookes University di Oxford ed è ampiamente riconosciuto come uno dei massimi esperti delle dinamiche socioculturali del fascismo. Ultimamente ha deviato lo sguardo della sua ricerca su varie forme di fanatismo religioso e sul terrorismo contemporaneo e il loro impatto sulla modernità.

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Manchester Arena, 22/05/17

A youngster wearing a t-shirt showing U.S. singer Ariana Grande talks to the media near the Manchester Arena in Manchester

Accade all’Arena di Manchester, un catino per 21mila spettatori, struttura seconda in Europa per capienza. Sta finendo il concerto della popstar americana Ariana Grande, con un pubblico composto prevalentemente di teenager. Sono appena passate le 10 e mezza di sera (ora locale), e il pubblico comincia a fluire composto verso l’uscita con la mente ancora affollata dal suono e dai colori dello show.

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The Nasty Party is back

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Ieri a Halifax, nello Yorkshire, Theresa May ha presentato il programma elettorale del partito conservatore per le politiche, l’8 giugno prossimo. Fin dall’annuncio choc di queste elezioni in una mossa da guerra lampo, tre settimane fa, era andata ripetendo con regolarità da umanoide lo stesso slogan sulla leadership «forte e stabile», necessaria a guidare il Paese attraverso le forche caudine del negoziato Brexit.

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Labour: Old is the new New

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Dopo la falsa partenza della scorsa settimana – una fuga di notizie ne aveva anticipato i contenuti – ecco in tutto il suo socialistico fulgore la versione definitiva e ufficiale del manifesto del partito laburista per le elezioni politiche del prossimo 8 giugno, che il partito è stato finora il primo a presentare.

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Campagna campale

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Lo scorso 10 maggio, la bozza del manifesto elettorale del Labour finiva in mano alla stampa. La fuga di notizie sul programma elettorale per le prossime politiche dell’8 giugno proprio il giorno prima che i vertici si riunissero per approvarne le linee guida dimostra – se mai ce ne fosse stato ulteriore bisogno – il permanere ostinato nel partito stesso di una chiara propensione all’autolesionismo.

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The Socialist Manifesto

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Il Leader Laburista Harold Wilson, due volte primo ministro, nel 1960/70 e nel 1974/76

Nella debita bagarre mediatica, ieri hanno cominciato a circolare copie del programma elettorale del partito laburista, che avrebbe dovuto essere presentato la prossima settimana. Un leak avvenuto in sincronica coincidenza con il cosiddetto Clause V meeting, la riunione in cui i vertici approvano il manifesto elettorale, tenutasi nel pomeriggio.

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Labour local elections 2017: incassare e ripartire

Il giorno dopo la legnata elettorale delle amministrative, che ha visto il partito laburista perdere circa 350 seggi consiliari contro un + 500 dei Tories, è già ricominciata la campagna per le prossime politiche dell’8 di giugno. Continua a leggere “Labour local elections 2017: incassare e ripartire”

Corbyn incassa la sveglia delle amministrative

corbynIl risultato della prima tornata di elezioni amministrative del 2017 in Inghilterra, Galles e Scozia torna a essere in linea con i sondaggi, confermando l’avanzata sostanziale dei tories a spese di Labour e soprattutto Ukip – spazzato via – con i Libdem rimasti più o meno dov’erano.

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Chris Cornell 1964-2017

Non sono mai stato un Pearl Jam guy, erano troppo retorici per me. Preferivo di gran lunga i Soundgarden (uno dei nomi più belli mai scelti da una band) e soprattutto gli Alice In Chains, se proprio vogliamo restare nel territorio di chitarre distorte, capelli lunghi, camice a scacchi e anfibi slacciati. Ero e sono tuttora tra quelli che preferiva di gran lunga il grunge alla zuppetta tiepida post-Beatles del Britpop, un fenomeno dopato dal Melody Maker e NME per restituire imprinting nazionale a un mercato inglese allora giustamente dominato da band americane.

Certo, sono gli anni Novanta, i Nirvana erano ovunque, iniziava quello che sarebbe poi diventato il postmoderno, ciclico risciacquo dei panni del rock nell’ammorbidente dei classici, in questo caso: Black Sabbath/Led Zeppelin. Eppure, originalità a parte, queste band di Seattle erano di incredibile livello e qualità, anche solo per il fatto di avere una componente punk viva e vitale. Sopratutto, avevano dei cantanti notevoli. Cornell era il più sfacciatamente classico cantante rock, sempre a spingere la voce in territori epici e dunque infidi ma non importa, tanto c’è sempre tanto cuore a rimediare.

Questa è la performance di una band al picco della propria energia e potenza, nel tour del plumbeo Badmotorfinger, poco prima che esplodessero globalmente con Superunknown. Se pogava. E il finale, visto a poche ore dalla scomparsa di Cornell, per me da brivido.

Ciao, Mr. Cornell. You broke your rusty cage and run.