Manchester Arena, 22/05/17

A youngster wearing a t-shirt showing U.S. singer Ariana Grande talks to the media near the Manchester Arena in Manchester

Accade all’Arena di Manchester, un catino per 21mila spettatori, struttura seconda in Europa per capienza. Sta finendo il concerto della popstar americana Ariana Grande, con un pubblico composto prevalentemente di teenager. Sono appena passate le 10 e mezza di sera (ora locale), e il pubblico comincia a fluire composto verso l’uscita con la mente ancora affollata dal suono e dai colori dello show.

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Voto secondo incoscienza

650

Dopo un fine settimana di tese discussioni con in gioco l’unità del suo governo ombra e del partito parlamentare nel suo complesso, Jeremy Corbyn ha sciolto il suo dilemma: concederà un voto libero ai deputati laburisti sulla cruciale decisione se allargare i bombardamenti aerei britannici anti-Isis alla Siria.

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La Camera dei bombardieri

Dietro l’invasione angloamericana dell’Iraq, nel 2003, c’era il famigerato dossier farlocco sulle armi di distrazione di massa, armi di cui Saddam Hussein era perfettamente privo ma che Bush e Blair possedevano in quantità.

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Londra marsigliese

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Londra ha reagito con cordoglio e solidarietà agli attacchi di Parigi, tenendo alto il livello di allerta del M15 (fermo ad arancione, come nei giorni scorsi) ma senza innalzarlo al rosso, quello massimo.

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Creepy mission, mission creep

481 sì contro soltanto 43 no. Qualche astensione. Questa volta si va, la Royal Air Force è pronta a lanciare i Tornado. Cameron ha mietuto una schiacciante maggioranza nel voto parlamentare di venerdì pomeriggio sul via libera ai bombardamenti in Iraq. Dietro di lui, compatta la coalizione Tory Lib-dem, con a rimorchio il Labour di Miliband.

Sei bombardieri della Raf di stanza a Cipro, che hanno effettuato voli di ricognizione sull’Iraq del Nord nelle ultime settimane, sono pronti a colpire nello spazio di ore. Per ora ci si limita all’Iraq: Ed Miliband non intende allineare il Labour al consenso su attacchi aerei anche alla Siria e Cameron avrebbe potuto subire nuovamente l’imbarazzante sconfitta dell’anno scorso. Senza una risoluzione dell’Onu, sulla quale i russi eserciterebbero di certo il proprio veto, Miliband non intende muoversi.

Poche, durante la seduta, le voci discordanti. Come quelle di Diane Abbott, deputato per la circoscrizione londinese di Hackney, e quella di George Galloway, il deputato di Respect. Ma lo stesso arcivescovo di Canterbury, l’ex banchiere Justin Welby, si è espresso a favore. In linea teorica non c’era nemmeno bisogno di richiamare il parlamento: Cameron poteva decidere autonomamente l’intervento. Ma la memoria della famigerata invasione nel 2003, tra le cause principali della catastrofe mediorientale nella quale gli Usa e la Gran Bretagna stanno scivolando nuovamente, obbligava almeno l’osservanza della forma.

Un sondaggio condotto dall’agenzia YouGov per conto del Sun, le cui prime pagine di questi giorni sbavano vendetta, dimostra che la maggioranza dell’opinione pubblica è incline all’intervento aereo. Più del 57% si è detto favorevole ai bombardamenti in Iraq, mentre il 51% li estenderebbe alla Siria. Favorevole a una vera e propria invasione militare è il 43%. Cameron è forte del consenso civile scatenato dalle odiose immagini delle decapitazioni di cittadini inglesi americani e francesi delle ultime settimane.

Un altro ostaggio britannico, il tassista volontario Alan Henning, è nelle mani del «Califfato»: la mobilitazione di varie personalità religiose musulmane britanniche potrebbe non essere sufficiente a salvargli la vita. Significativo il lessico da tregenda rimbalzato in questi ultimi giorni: «Sono terroristi psicopatici che cercano di ucciderci» ha detto Cameron.

In un crescendo di retorica grandguignolesca i militanti delll’Isis sono descritti come psicopatici, rivoltanti, atroci, mostruosi, indicibili, velenosi e satanici. Ha aggiunto che ci vorranno anni e non mesi per schiacciare lo Stato Islamico. È evidente che, se potesse, opterebbe senza alcun dubbio anche per i «boots on the ground», l’impiego di truppe di terra. Un’ammissione fatta nel corso del suo intervento, nel quale ha definito l’operazione come necessaria alla difesa degli interessi nazionali.

Dietro questa anodina espressione da gergo diplomatico si nasconde la scottante questione dei cittadini britannici accorsi a combattere in Siria, un problema che se interessa tutta l’Europa – sarebbero 3000 i giovani musulmani europei coinvolti nella guerra civile – riguarda soprattutto la vasta popolazione islamica della Gran Bretagna.

Il cosiddetto «Jihadi John» il decapitatore numero uno apparso nei terrificanti video delle esecuzioni, ha un accento evidentemente inglese. Solo per questo l’attacco assumerebbe a sua volta i contorni di un’altra guerra civile.

Resta il fatto che non c’è un piano coerente nemmeno a medio termine in tutta l’operazione e che il rischio che i bombardamenti siano insufficienti a risolvere la situazione quando non del tutto controproducenti, provocando ulteriore destabilizzazione nella regione. Bombardare solo in Iraq è considerato insufficiente da coloro che sono favorevoli all’intervento e la prospettiva di un’escalation del coinvolgimento del Paese è tutt’altro che irrealistica, senza contare le possibili ricadute terroristiche nella madrepatria.

E la cosiddetta «mission creep», il timore evidente ci si stia nuovamente impelagando in un acquitrino dal quale rischia di non uscire se non ad altissimo prezzo, umano e politico, serpeggia fra i banchi di Westminster.

(il manifesto, 27-09-14)

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