Sono dieci i candidati ufficiali alla leadership del partito conservatore e del paese: dieci teste per una corona di spine. Michael Gove, Jeremy Hunt, Sajid Javid, Matt Hancock, Rory Stewart, Boris Johnson, Dominic Raab, Esther McVey, Mark Harper e Andrea Leadsom si sono aggiudicati le sei nomination necessarie dai colleghi.
Tag: tom watson
Nigel Carnage
Come volevasi temere. Alle elezioni europee che non dovevano accadere Farage is back, mentre Tories e Labour prendono tante mazzate, redistribuendo i propri voti i primi al Brexit Party del succitato e al suo ex partito Ukip, i secondi ai Libdem e ai verdi.
La marcia dei rimasti
Sono scesi a Londra da ogni contrada del Paese, molti dal nord, il milione circa di persone della manifestazione anti-Brexit/pro secondo referendum. Non solo le «èlite», quelli che non ci stanno a uscire dall’Ue, che amano il vino francese, le vacanze in Spagna, l’opera italiana e leggono il Guardian, ma anche moltissimi giovani, quelli che si sentono traditi dalla scelta gretta della borghesia proprietaria, tutta patria famiglia e corona del sud come da quella delle comunità ex-operaie del nord deindustrializzato da Thatcher.
Lotta nel Labour di governo
Il Labour targato Corbyn ha incassato una batosta alla by-election di Copeland, cittadina costiera della Cumbria, sul confine con la Scozia, un seggio che deteneva da 80 anni. Continua a leggere “Lotta nel Labour di governo”
Il grande arrampicatore
La metafora alpinistica l’ha usata proprio lui, nel discorso di chiusura del congresso. È una montagna elettorale quella che aspetta il Labour di Jeremy Corbyn, appena rieletto leader con uno schiacciante 62% dei voti: impervia, tuttavia scalabile. E dopo un anno in cui i suoi compagni di cordata – i deputati del Parliamentary Labour Party (Plp) – hanno cercato di farlo precipitare in tutti i modi, il leader è un arrampicatore più esperto.
Jeremiad
Giornata di relativa calma sul fronte Corbyn. Non volendo prolungare l’increscioso sfoggio di trame e orditi di partito nel giorno dell’anniversario di quella colossale e insensata mattanza che fu la battaglia della Somme, i deputati laburisti ammutinati hanno osservato una tregua precaria.
Il leader dimezzato
Con i due principali partiti senza un leader in servizio permanente effettivo – David Cameron che si è gettato sulla sua spada, Jeremy Corbyn con la pistola puntata alla tempia dai suoi stessi compagni di partito – la Gran Bretagna comincia un lungo e sofferto addio al bipolarismo, alla governabilità e alle gioie dell’uninominale secco. Per Corbyn, quella di ieri è stata una giornata di passione e d’indicibile pressione.
Guerra incivile
Adesso per il Labour party il “leave” per o contro il quale lottare è quello di Jeremy Corbyn. Il risultato del referendum non si è limitato a falciare il premierato di David Cameron, ha esteso il suo caos destabilizzante dentro al principale partito d’opposizione, squassato da un’endemica volatilità interna.
Uk anno zero?
Era il 1956, e la Gran Bretagna si leccava le ferite auto-inferte del dopo-Suez. Dean Acheson, l’allora segretario di Stato americano, commentò la spacconata imperialistica di Anthony Eden con l’emblematica massima: «La Gran Bretagna ha perduto un impero e non ha ancora trovato un ruolo».
L’ineleggibile
Un Jeremy Corbyn si aggira per Westminster. È ancora lui, solo non è più lui. È rimasto lo stesso: bonario e trasandato, vestito uguale da trent’anni, uno che lo schermo non lo buca, lo mura; uno in bianco e nero.