Ieri, a soli cinque giorni dallo scadere del prossimo termine, il diciannove ottobre, per strappare un accordo di uscita dall’Ue ed evitare così il no deal il trentuno – sempre di ottobre – a Westminster si sono riaperti i lavori con il Queen’s Speech, il rituale discorso nel quale la sovrana squaderna il programma legislativo del suo neo primo ministro e che apre la nuova sessione parlamentare.
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The ides of May send Tories into disarray
(Il manifesto global – Originally published in Italian on May 25, 2019 https://ilmanifesto.it/le-idi-di-may-la-premier-capitola-tories-allo-sbando/)
In the end, the end of May brought the end of Theresa May: her own Ides of May (if we may). She announced on Saturday morning that she would leave on June 7, after trying and failing for the umpteenth time to save her Brexit agreement with the EU, running again into the now-familiar wall of hatred and mockery from within her own party and losing yet more people from her already-battered government.
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Rule Brexitannia!
Nei quasi tre anni che ci separano dal 23 marzo 2016, la squassante virulenza con cui la British exit si è abbattuta sulla Gran Bretagna – scavando un fossato nelle famiglie, nelle coppie e nella società in generale, rimescolandone pubblico e privato e riscoprendo una dimensione politica del reale in realtà mai venuta meno – ha prodotto un gettito di lavori che cercano di descrivere, analizzare, criticare quello che è evidentemente uno psicodramma identitario collettivo.
The Nasty Party is back
Ieri a Halifax, nello Yorkshire, Theresa May ha presentato il programma elettorale del partito conservatore per le politiche, l’8 giugno prossimo. Fin dall’annuncio choc di queste elezioni in una mossa da guerra lampo, tre settimane fa, era andata ripetendo con regolarità da umanoide lo stesso slogan sulla leadership «forte e stabile», necessaria a guidare il Paese attraverso le forche caudine del negoziato Brexit.
Teresa Mai
Theresa May ha chiuso il congresso annuale del suo partito a Birmingham con un messaggio in perfetto stile dadaista, dicendo che i Tories sono il partito dei lavoratori.
L’ologramma del capitano
A tre giorni dal più grande evento storico ed istituzionale europeo dal secondo dopoguerra, al pari della caduta del muro di Berlino, il paese si confronta con le conseguenze della decisione presa dai 17 milioni di elettori che hanno votato per l’uscita dalla Ue.
Island is an island is an island is an island
Se nessun uomo è un’isola, è vero anche il contrario. E la Gran Bretagna di venerdì mattina si è svegliata capovolgendo la celebre massima. L’isola è rimasta isola: lontana dal continente, da quell’Unione con la quale ha convissuto in un frigido matrimonio per quarant’anni che il 52 per cento dei votanti contro il 48 ha deciso di rescindere bruscamente all’alba di ieri. Londra, la Scozia e l’Irlanda del Nord si sono rispettivamente pronunciate al 62 e 55,8% per il remain, ma il Galles al 52,5% e tutto il resto dell’Inghilterra al 57% per il leave. Stavolta i mercati e gli allibratori hanno sbagliato, e alla grande.
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Ecce Britannia
Il solerte martellamento sull’immigrazione delle ultime due settimane ha pagato. Sono un paio di giorni che i sondaggi danno in vantaggio il Leave di sei o sette punti e ormai panico (ed entusiasmo) sono diffusi. A destra come a sinistra, nella Camera dei comuni gli schieramenti sono agitati come i Martini dry del Bond nazionale.
D’elusione fiscale
La wikileaks che ha colpito i server della Mossack Fonseca, lo studio legale con sede a Panama specializzato nell’aiutare i milionari globali dell’un per cento a imboscare i propri redditi, leciti e non, per eludere ed evadere le tasse, continua a provocare il serio imbarazzo di David Cameron, l’unico primo ministro di un vasto stato europeo a essere stato finora chiamato in causa dalla pubblicazione di dati.
George mani di forbice
Il cancelliere George Osborne, ministro delle finanze in carica e architetto principale dell’austerità, è anche un po’ primo ministro in pectore: una volta fattosi da parte David Cameron (ritiro già annunciato prima delle elezioni del 2020), né la filoxenofoba Theresa May agli interni, né il giullaresco sindaco di Londra Boris Johnson al momento paiono rivali davvero temibili, anche perché la crescita dell’economia del paese — calcolata dall’Office for budget responsibility (OBR) al 2.4% nel 2015 e 2016 — sostiene egregiamente il consenso del partito presso le classi medie del sud dell’Inghilterra, da sempre zoccolo duro dell’elettorato conservatore.