Cronaca postuma di una catastrofe II

Queste sono state elezioni politiche solo sulla carta. In realtà erano il secondo referendum, tanto invocato dalle élite liberal cosmo-metropolitane. Che è stato perduto come e peggio del primo, riaffermando la volontà del leave nel modo più netto possibile.

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Deals, dealers, delays

Continua l’iter parlamentare della controffensiva volta a impedire la Brexit verso cui il neopremier Johnson tende con ogni fibra delle sue spoglie mortali: l’uscita senza accordo dall’Ue il prossimo 31 ottobre, Halloween, data appositamente mostruosa.

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Non mollare May

È cominciata l’ennesima settimana più importante a Westminster dalla crisi di Suez o, per chi preferisce, dall’avvento al premierato di Winston Churchill (ormai si susseguono da mesi). Dopo l’imponente manifestazione di massa di sabato pro-secondo referendum e i cinque milioni di firme alla petizione online per la revoca dell’articolo 50 e la cancellazione della British exit, gli ingredienti per consolidare la paralisi del parlamento sono tutti ancora lì.

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L’impero salvato dai ragazzini

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La Gran Bretagna ha una storia recente assai più presentabile di quella del resto d’Europa: niente fascismo (o quasi), niente lager, niente gulag, nessun rischio rivoluzionario. Anzi: due guerre mondiali vinte, e la seconda inequivocabilmente dalla parte della ragione, quella del «mondo libero».

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Isola è un’isola è un’isola è un’isola

Se in isole come il Madagascar e l’Australia sopravvivono specie animali uniche al mondo, è grazie all’isolamento. L’isolamento, un po’ come il freddo, conserva. Ornitorinchi, lemuri e canguri non si sono estinti perché parte di ecosistemi insulari, cioè delimitati e remoti. Per isolarsi bene è dunque auspicabile stare su un’isola: prima ancora che dello spirito, un luogo del corpo, difficile da scoprire e da conquistare. Continue reading “Isola è un’isola è un’isola è un’isola”

Out and about

Quello che segue è il mio pezzo su Brexit per il manifesto in edicola oggi, scritto prima che i risultati fossero resi noti. Scrivo queste due righe nella mia nuova qualità di ospite in un paese improvvisamente extracomunitario, assieme agli altri nostri 500.000 connazionali, sbarcati su queste isole che perdono pezzi. Si é messo in moto un effetto domino di cui le dimissioni appena annunciate di David Cameron è il primo atto, l’uscita della Scozia e dell’Irlanda del Nord all Regno Unito potrebbero essere il secondo e ultimo  – nel lungo periodo – addirittura l’implosione di tutta l’Unione Europea. We live in interesting times.

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Gli accorati appelli dell’1%

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Giovedì, le urne: David Cameron è in iperventilazione. In un contraddittorio televisivo di qualche giorno fa lo avevano accusato di essere un Chamberlain – in questo paese una delle offese più gravi che si possano fare a un uomo politico. Lui risponde a tanta infamia facendo appello a una retorica tutta churchilliana, ben sapendo che sono le ultime occasioni per scongiurare una vittoria del Leave al referendum di domani.

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Bremain or fight

Ora che si sono chiuse le ostilità per le elezioni del sindaco della capitale, l’incombere del momento della verità, il prossimo 23 giugno, quando i cittadini britannici saranno chiamati a votare per il referendum sulla permanenza della Gran Bretagna nell’Unione europea o il suo abbandono, fa salire al calor bianco la temperatura del dibattito.

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Corbyn la gazzella

Nella savana di West­min­ster, ogni giorno Jeremy Cor­byn si sve­glia e comin­cia a cor­rere per affron­tare il suo «momento della verità» quo­ti­diano. Quello cioè in cui, da vero eroe, par­te­ci­pando a una delle infi­nite ceri­mo­nie uffi­ciali dov’è pre­vi­sta la pre­senza del lea­der dell’opposizione di sua Mae­stà, deve pie­garsi a una ritua­lità la cui abo­li­zione, riforma o supe­ra­mento erano tra le cause del suo ingresso in poli­tica. Tale è il para­dosso poli­tico della sto­ria pre­sente del Labour party.

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