Oggi, per i tipi di un’oscura casa editrice alternativa, esce questo libro, da me indegnamente tradotto e la cui autrice ho intervistato per l’Espresso mesi fa. L’ho anche recensito per il numero corrente del vetusto Political Quarterly. Vista la rapidità con cui l’occidente liberale si sta ritrasformando in una tana di fascisti (uso il termine come metonimia di una serie di altre cose brutte assai), mi è parso sacrosanto cercare di dargli tutta la visibilità possibile, compatibilmente con le mie flebili facoltà. Sul libro ho le mie riserve naturalmente, e se avrò modo di esprimerle ne troverete qui le tracce. Intanto, qui sotto la recensione per il PQ.
Mese: ottobre 2020
Autechre: come cogliere nel segno
Human after all. Non sembri blasfemo, ai fedeli del culto Autechre, che ci si arrischi a citare i Daft Punk – la cui retro-disco in confronto evoca un sapore di gomma da masticare alla fragola – per parlare del loro ultimo Sign, uscito puntualmente per la Warp Records di Sheffield, la Casa Ricordi dell’elettronica.
Su Exai degli Autechre, con lieve ritardo

Qui non si tornava da mesi, ed era ora di farlo. No, non voglio (ancora) parlare di malattie, e poi l’ho già fatto in un libro scritto a quattro mani con un amico che uscirà a breve. Ascoltando Sign, l’ultimo degli Autechre – le mie misere considerazioni sul quale il manifesto ha benignamente accettato di pubblicare – mi è risalito il saporaccio di un pezzo su Exai (2013), il loro precedente album, scritto oramai una decina di anni fa, commissionato per una pubblicazione che soprannomineremo Rovista Tedio e che non è mai uscito, forse perché non consono alla cultura di marchetting che ne informa la linea editoriale. Un pezzo cui tenevo e che propongo qui per la prima volta.
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