Il Regno Unito si trova a poche settimane dal quinto appuntamento elettorale in un decennio (senza contare i due delle europee) e due referendum, quello scozzese e quello, famigerato, sulla British Exit. Dopo mille tentativi, Boris Johnson non è riuscito a farsi approvare dal parlamento l’accordo che dovrebbe sancire l’uscita dall’Ue.
Incontriamo Gary Younge una mattina londinese nel bar del quotidiano The Guardian, di cui è editorialista dopo oltre un decennio di corrispondenza dagli Usa. Il giornalista inglese, originario delle Barbados, ha al suo attivo reportage dai Caraibi, Europa e Africa, ha diretto il documentario Angry, White and American per Channel 4, un inquietante viaggio nell’America contemporanea, scrive sul periodico The Nation e ha vinto l’edizione 2017 del premio James Aronson Awards for Social Justice Journalism. Siamo qui per parlare dell’ultimo dei suoi cinque libri: Un altro giorno di morte in America, (ADD editore) è una mappatura spaziotemporale – straziante e commovente nell’empatia, odiosa e inaccettabile nella denuncia – di una giornata americana qualsiasi, in cui una media di sette adolescenti muoiono uccisi da armi da fuoco in omicidi spesso volontari, a volte accidentali.
La Gran Bretagna ha una storia recente assai più presentabile di quella del resto d’Europa: niente fascismo (o quasi), niente lager, niente gulag, nessun rischio rivoluzionario. Anzi: due guerre mondiali vinte, e la seconda inequivocabilmente dalla parte della ragione, quella del «mondo libero».
La metafora alpinistica l’ha usata proprio lui, nel discorso di chiusura del congresso. È una montagna elettorale quella che aspetta il Labour di Jeremy Corbyn, appena rieletto leader con uno schiacciante 62% dei voti: impervia, tuttavia scalabile. E dopo un anno in cui i suoi compagni di cordata – i deputati del Parliamentary Labour Party (Plp) – hanno cercato di farlo precipitare in tutti i modi, il leader è un arrampicatore più esperto.
Gran Bretagna. Ha tutti contro ma il leader di sinistra del Labour è il politico più popolare del regno. E nei sondaggi doppia il moderato Smith, fermo al 38%. Iniziato voto postale, i risultati il 24 settembre.
È stata l’estate più turbolenta per la Gran Bretagna dalla seconda guerra mondiale. Molto poté lo stress post-traumatico della Brexit, che ha catapultato Theresa May a Downing street dopo una breve e spietata resa dei conti fra i Tories e provocato nel Labour una lacerante frattura fra membri del partito che avevano eletto leader Jeremy Corbyn e i suoi colleghi deputati, che lo avevano sfiduciato a poche ore dall’esito referendario e dalle dimissioni di David Cameron. Continue reading “Le primarie secondarie”
Con i due principali partiti senza un leader in servizio permanente effettivo – David Cameron che si è gettato sulla sua spada, Jeremy Corbyn con la pistola puntata alla tempia dai suoi stessi compagni di partito – la Gran Bretagna comincia un lungo e sofferto addio al bipolarismo, alla governabilità e alle gioie dell’uninominale secco. Per Corbyn, quella di ieri è stata una giornata di passione e d’indicibile pressione.
172 contro 40, è il risultato del voto di sfiducia nei confronti di Jeremy Corbyn. Nell’ennesimo di una serie di terremoti-matrioska innescati dal referendum di giovedì scorso, più dell’80% dei parlamentari laburisti gli si è pronunciato contro, dopo una serie di incontri, pianti, accese discussioni e litigi.
Le ultime notizie dicono che il futuro dell’Unione europea è appeso a sei punti percentuali. L’ennesimo sondaggio – commissionato dal Guardian – dice infatti che il Leave è in testa con 53% contro il 47% del Remain e mette per la prima volta gli euroscettici decisamente avanti nella competizione quando mancano meno di dieci giorni al voto.
Si è conclusa giovedì alle dodici la votazione per le primarie del Labour Party, in una campagna che verrà ricordata tra le più drammatiche e sentite della storia recente del partito. Il risultato sarà reso noto sabato mattina.
Si chiama Jeremy proprio come Clarkson, la controversa celebrità televisiva, ma le similitudini per fortuna finiscono qui. Politicamente, somiglia assai di più a Ken Livingstone, l’ex sindaco di Londra e anche lui famosa spina del fianco del partito laburista: una mina vagante a sinistra con grosso seguito personale, e quindi imbarazzo per la maggioranza centrista.