«Ho fatto tutto quello che ho potuto per guidare il partito… da quando sono diventato leader gli iscritti sono più che raddoppiati e il Labour ha proposto un manifesto serio, radicale, sì, ma molto serio e completo di costi». È puerile aspettarsi che le lame in attesa di affettare la carne vegetariana di Jeremy Corbyn si accontentino di una simile autodifesa. Ha lasciato intendere che se ne andrà all’inizio dell’anno, ma le urla perché lo faccia “ieri” sono già assordanti.
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Take back Dominic Cummings
Ben consapevole di aver attizzato un rogo civile e costituzionale con la decisione di sospendere il parlamento, per Boris Johnson ormai non c’è ritorno. Ma il terreno cedevole sul quale poggia questa sua sparata diventa visibile con il passare delle ore.
Pro-Rogue
Neanche disfatta la valigia al ritorno dal vertice di Biarritz, Boris Johnson ha chiesto e ottenuto dalla monarca la cosiddetta prorogation del parlamento. Che proroga non è: si tratta di una sospensione fino al 14 ottobre prossimo, ufficialmente per dare una pausa ai lavori camerali che si svolgono ininterrottamente dal 2017, in realtà per bruciare i tentativi del parlamento stesso di bloccare l’uscita dalla Ue senza accordo. Halloween si avvicina infatti al galoppo: quel 31 ottobre che, com’è noto, coincide con la temuta/agognata British Exit.
Keep calm and rule on
Era solo una questione di «quando», non «se» sarebbe successo. L’orrida scia di sangue che stria le capitali europee ormai da tempo e che proprio qui – a parte l’isolato benché brutale omicidio del soldato Lee Rigby, quattro anni fa – aveva avuto negli attacchi del luglio 2005 la sua epifania continentale era attesa, temuta, prevista.
Uk anno zero?
Era il 1956, e la Gran Bretagna si leccava le ferite auto-inferte del dopo-Suez. Dean Acheson, l’allora segretario di Stato americano, commentò la spacconata imperialistica di Anthony Eden con l’emblematica massima: «La Gran Bretagna ha perduto un impero e non ha ancora trovato un ruolo».
Jeremy Corbyn: quando il “nuovo” retrocede, il “vecchio” avanza
Si è conclusa giovedì alle dodici la votazione per le primarie del Labour Party, in una campagna che verrà ricordata tra le più drammatiche e sentite della storia recente del partito. Il risultato sarà reso noto sabato mattina.
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Elisabetta, prima e seconda
Sull’Espresso in edicola questa settimana, un pezzo che si interroga sul senso e sul futuro della monarchia britannica. Di seguito, la versione originale mentre, nel link che segue, quella edulcorata.
Il giubileo di diamante di Elisabetta II è in pieno svolgimento e il 4 giugno prossimo un grande concerto pop con la direzione artistica di Gary Barlow (il ciccio bombo dei Take That, come fu a suo tempo impietosamente definito da Elio e le Storie Tese) avrà luogo davanti a Buckingham Palace, in mezzo a un tripudio di Union Jack. Sono passati ben 35 anni da quando, nel 1977, in occasione dello stesso giubileo, allora d’argento, John Lydon (in arte Rotten) e i suoi Sex Pistols le dedicarono un’assai personale rilettura dell’inno nazionale. Con buona pace degli sberleffi del punk la regina è ancora lì, più amata che mai, mentre l’anarchico Lydon è finito a reclamizzare il burro in TV. Continua a leggere “Elisabetta, prima e seconda”