A meno di una settimana dal 12 aprile, data in cui la Gran Bretagna schizzerebbe fuori dall’Ue senza accordo con paventate, telluriche conseguenze sull’economia, Theresa May cerca per la seconda volta una Brexit-proroga al 30 giugno, dopo che il suo accordo sul ritiro dall’Ue è stato sconfitto alla camera per la terza volta la settimana scorsa.
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La Brexiteide, poema poco epico.
Nella Brexiteide (poema prosaico, narra le gesta di una nazione che lascia un continente senza avere la minima idea di come si faccia pur di dirigersi lesta verso una destinazione ancora ignota) i momenti cruciali sono ormai routine.
Daje Jeremy
Con l’«inspiegabile» elezione di Jeremy Corbyn a leader del partito laburista si compie una specie di omerico nostos (ritorno), quasi un riavvolgimento veloce di una pellicola scritta e interpretata dalla generazione politica precedente (che poi, anagraficamente, è la sua): il film degli anni Novanta, del Labour tre volte vincitore, dei brindisi e pacche sulle spalle coi banchieri barracuda, delle pseudo-diatribe fra Blur e Oasis, nell’arte elettrizzante e ombelicocentrica di Damien Hirst e Tracey Emin, dell’aromaterapia come sostituto dell’analisi politica, della crescente marginalizzazione del sindacato e la dissoluzione del diritto del (e al) lavoro.
60 (per) CENT
Tutto il potere a Jeremy Bernard Corbyn: la base del partito ha parlato quasi all’unisono, e ad alta voce. Con un’assordante maggioranza del 59,5 % delle preferenze ha eletto al primo turno un sessantaseienne che per 32 anni – dal 1983 – ha servito dalle retrovie della sinistra socialista votando quasi regolarmente contro la linea ufficiale. Il suo vice sarà Tom Watson, classe 1967, di Sheffield, un modernizzatore esperto in comunicazione digitale e implacabile nemico della stampa di Murdoch.
Jeremy Corbyn: quando il “nuovo” retrocede, il “vecchio” avanza
Si è conclusa giovedì alle dodici la votazione per le primarie del Labour Party, in una campagna che verrà ricordata tra le più drammatiche e sentite della storia recente del partito. Il risultato sarà reso noto sabato mattina.
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Il mite Jeremy
Nell’estate che potrebbe riportare il Labour Party britannico nell’alveo della propria storia dopo tanto galleggiare in un dopostoria indeterminato quanto certo della propria irrevocabilità, Jeremy Corbyn continua a parlare davanti a traboccanti platee la cui età anagrafica è, nient’affatto sorprendentemente, bassa.
Geremiade
Si chiama Jeremy proprio come Clarkson, la controversa celebrità televisiva, ma le similitudini per fortuna finiscono qui. Politicamente, somiglia assai di più a Ken Livingstone, l’ex sindaco di Londra e anche lui famosa spina del fianco del partito laburista: una mina vagante a sinistra con grosso seguito personale, e quindi imbarazzo per la maggioranza centrista.