Quanto segue è un commento che volevo lasciare a questa cosa di Francesco Merlo. Al momento di inserirlo, ho visto che non potevo farlo senza essere iscritto a Google, LinkedIn, Facebook ecc. (alla faccia della democrazia della rete). Per cui lo pubblico qui.
Caro Merlo, scrivo questo commento da convinto difensore dei diritti delle cosiddette minoranze. Questa sua arringa tradisce un’agenda molto chiara. Sotto la maschera da Voltaire della fine delle ideologie, corifeo della linea post-qualunque cosa del quotidiano, s’intravede un Lombroso progressista. È facile indossare il costume del superman dei diritti civili, e deviare lo sguardo dalle cose che davvero questi coraggiosissimi leader (Cameron, Blair, ecc.) dovrebbero o avrebbero dovuto fare. In un momento in cui tutto il sistema scatologico di cui costoro – nel migliore dei casi persi nelle fumisterie di un riformismo farlocco – sono garanti è profondamente scosso, niente di meglio di una bella sviolinata sui diritti identitari.
Sviolinata che naturalmente commuove e indigna (chi vorrebbe vedersi equiparato a Putin, Alfano o Castro, qui surrettiziamente accomunati nella stessa frase?), ma che ha l’ovvia funzione di distrarre dai problemi reali e dalla strutturale necessità di cambiamento che nessuno, tantomeno il suo giornale, vuole veramente esigere. La canzone è sempre quella: un colpo al cerchio della difesa dell’uguaglianza civile e uno alla botte di quella della diseguaglianza sociale. Ribadisco che sono a favore del matrimonio gay, ma le priorità sono altre. Attenti anzi, travolti dal furore liberal, a non renderlo obbligatorio. L’uguaglianza, o coraggiosi paladini, è un’altra cosa. Se non vi piace ditelo.
Chiudo con una provocazione, non me ne voglia chi – orribilmente – non ha potuto godersi la propria sessualità in santa pace, è o è stato perseguitato: ci sono voluti secoli per allentare i legacci della famiglia, del matrimonio, e ora vogliamo imporli pure a chi aveva la fortuna di esserne dispensato?