Ozzy Osbourne, 1948-2025

Ozzy Osbourne ha fatto appena in tempo a salutare i suoi innumerevoli fan/adepti/discepoli. Non sto a dilungarmi sull’importanza del personaggio o dei Sabbath, mi limito a ripubblicare un mio incontro con lui di un ventennio fa.

«Se non fosse stato per mia moglie Sharon, anziché stare seduto su questo sofà con te sarei morto, o in prigione, o in riabilitazione. Ma soprattutto sarei morto. Mille volte.» Ozzy mi ha detto molte altre cose, elencate qui sotto, ma questa, anche se l’avevo letta e sentita altre volte, fa un po’ rabbrividire. 

Il tassista mi che mi porta alla mansion degli Osbourne, nel Buckinghamshire, è uno dei pochi autorizzati a farlo. Soprattutto da quando i ladri hanno fatto irruzione in casa, rubando parecchi gioielli di Sharon. Sebbene a pochi km da Londra, siamo in piena verde, civilissima campagna inglese. Abbondano le villone. Prima di arrivare, il tassista mi mostra quella di Angelina Jolie e quella un tempo di Humphrey Bogart. Sostiene che sopra l’ingresso della villa ci sia una non ben precisata “immagine inquietante”: si rivela essere una lanterna in ferro battuto dalla forma bizzarra. Il vero incubo è l’arredamento. E l’autobiografia di Victoria Beckham su un tavolino.

The Prince of Fucking Darkness avanza verso di me e si siede nel suo salotto preferito. È accompagnato da un assistente. Ozzy è, sì, un sopravvissuto, ma con i segni della battaglia visibili in tutto il corpo. Ha una forma di Parkinson, le movenze stentate e la sua dizione è di decifrabilità minima. L’unica cosa netta è l’accento di Birmingham. I movimenti sono resi ancora più lenti dalla gioielleria che ha addosso (un crocefisso che nemmeno Dionigi Tettamanzi). Evidentemente i ladri hanno rubato solo quella di Sharon. 

I Black Sabbath. L’invenzione del metal. Il pipistrello (decapitato a morsi), la colomba, (anche quella decapitata a morsi). Il processo per istigazione al suicidio per il brano Suicide Solution. La pisciata da sbronzo e vestito da donna su Fort Alamo. Le interiora di bovino gettate sul pubblico durante i concerti. L’incubo dell’abuso incontrollato di qualsiasi cosa. La rinascita e la reinvenzione. L’OzzfestThe Osbournes

Della triade storica di sopravvissuti col volto segnato dell’aratro dell’eccesso (gli altri sono Keith Richards e Iggy Pop), Ozzy Osbourne è la più colorata e teatrale. E  mi parla di Under Cover, un album, indovinate un po’, di cover. E siccome lui è Ozzy e non può certo fare le cover, chessò, dei Darkness, ha messo mano ai classiconi (Beatles, Lennon, King Crimson, Stones ecc.) 

«L’ho fatto soprattutto per dimostrare che non avevo completamente smesso di fare musica. È successo in un periodo in cui ero pieno di impegni: l’Ozzfest, le riprese degli Osbournes. La prima volta che mi è venuto in mente ero in aereo, quattro o cinque anni fa. Un disco dei pezzi che amo e i cui testi avessero qualcosa in comune con Ozzy (sì, parla di se in terza persona): come Sympathy For The Devil, My life, Good Times.» I  brani sono trattati come ci si aspetterebbe: chitarra, chitarra, chitarra (il signor Jerry Cantrell, scusate se è poco). Ma, nel complesso, sono stati manomessi pochissimo. «Quello che non ho voluto fare era renderli irriconoscibili, come tante altre cover di cui resta solo il titolo. Ne registrai alcuni e poi… me ne dimenticai. Finché Sharon lo scorso natale non mi dice che la Sony vuole far uscire un cofanetto (The Prince of Darkness) sulla mia carriera: “Perché non ci metti dentro anche quelle cover? Tanto la cosa esce comunque, con o senza il tuo permesso.”»

Ora quei pezzi, assieme ad altri aggiunti successivamente, escono a parte su Under Cover: «È stato tutto molto semplice, ho registrato la voce in albergo o mentre ero in giro, su un impianto portatile: non sono mai entrato in studio con la band purtroppo, avevo troppo da fare. Non posso davvero prendermi i credits, anche se mi sarebbe piaciuto molto collaborare di più. Non vuole essere un disco vero e proprio, è più che altro una cosa per i fan irriducibili di Ozzy. Così ho aggiunto “Woman” di Lennon, “Rocking Mountain Way” di Joe Walsh e “Go Now” dei Moody Blues.» Forse l’unico pezzo ad aver subito un pesante rock treatment è la superba “21st Century Schizoid Man” dei King Crimson: «Ho sempre amato quel riff – si esalta suonando una chitarra d’aria e cantando il memorabile attacco di Fripp – il pezzo originale ha poi quell’intermezzo prog, ma in questa versione il brano è tutto costruito sulla forza di quel riff, che è quello che avrebbe fatto Ozzy» – cioè lui. «In tutta la mia carriera quanti ne ho visti di ottimi riff non sfruttati abbastanza, che spreco!.» 

Ozzy è sempre stato un segugio da giovani chitarristi: dallo sventurato e dotatissimo Randy Rhoads, passando da Jake E. Lee, fino a Zakk Wylde. «Ci provo ancora a scoprire talenti ma cazzo, quanto è diventato difficile! Sembra che nessuno suoni più la chitarra. E poi non posso più andare in giro in tour, a parte l’Ozzfest, sono troppo malandato.» Ozzy si è ritirato a metà anni Novanta e poi è ritornato. L’età e gli eccessi si fanno sentire ma lui la prende con filosofia: «Non ho certo bisogno di gonfiarmi l’ego suonando sempre negli stadi. Anche i concerti in posti piccoli mi vanno bene. Non m’interessa gareggiare a chi suona davanti a più gente. Quello che conta per me è dare il meglio che posso, mi considero già molto fortunato a poter fare questo, ad essere sopravvissuto con questo cazzo di veleno che avevo in corpo (Non capisco a cosa si riferisca esattamente: alcool? Cocaina? Speed? Fate vobis). 

Eppure lo stesso orco stupefatto che decapitò a morsi una colomba bianca, nella serie televisiva sulla sua scombinata famiglia ha esposto un lato sottile, ironico, tagliente. «Ad essere sincero, non amo la televisione. Avrò visto due forse due episodi e mezzo degli Osbournes. Se hai dieci telecamere in casa 24 ore al giorno, sette giorni a settimana, che succeda qualcosa di gustoso è garantito. E poi c’è il montaggio: da tutte quelle ore di riprese per forza escono fuori cose divertenti». Non gli chiedo nemmeno se la cosa gli ha creato problemi d’immagine, per non offendere la sua intelligenza. Ma non serve. «Sono contento di averlo fatto. Non ha senso dire che siccome sei un rocker non puoi fare queste cose: che cazzo significa? È un’altra forma d’arte (sic). Per me è stato divertente all’inizio e poi non ci ho fatto più caso, era come se le telecamere non ci fossero. L’ironia è che finché erano lì non succedeva nulla per giorni; appena se ne sono andate è successo il finimondo: ladri in casa, cani in ospedale, litigi terribili, ogni momento qualcosa che ti faceva dire “se ci fossero state le telecamere adesso…”»

Gli Osbournes hanno vissuto fino a qualche anno fa a Los Angeles, adesso invece sono tornati quasi stabili qui in Gran Bretagna, «Perché Sharon è una grossa star e ha uno show suo in TV. Ma stare qui mi fa incazzare. Non riesco ad avere una band mia, non posso andare in uno studio in santa pace. Vorrei lavorare! Ho delle idee per un musical sulla vita di Rasputin, una cosa per Broadway con il mio amico Leslie West (ex Mountain): la sai la storia di Rasputin? Era un monaco ubriacone che divenne potentissimo presso la famiglia reale prima rivoluzione d’ottobre. Il suo nome significa “dissoluto”. Per eliminarlo cercarono di avvelenarlo. Non morì. Allora gli spararono. Non morì nemmeno così. Finalmente riuscirono ad annegarlo. Ma passò alla storia come l’uomo che non moriva. Mi ci sono ritrovato». Verrebbe da chiedersi come mai.

Rockstar – agosto 2007

Unknown's avatar

Author: leonardo clausi

Si tratta di prendere Troia, o di difenderla.

Leave a comment

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.