Su Exai degli Autechre, con lieve ritardo

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Qui non si tornava da mesi, ed era ora di farlo. No, non voglio (ancora) parlare di malattie, e poi l’ho già fatto in un libro scritto a quattro mani con un amico che uscirà a breve. Ascoltando Sign, l’ultimo degli Autechre – le mie misere considerazioni sul quale il manifesto ha benignamente accettato di pubblicare – mi è risalito il saporaccio di un pezzo su Exai (2013), il loro precedente album, scritto oramai una decina di anni fa, commissionato per una pubblicazione che soprannomineremo Rovista Tedio e che non è mai uscito, forse perché non consono alla cultura di marchetting che ne informa la linea editoriale. Un pezzo cui tenevo e che propongo qui per la prima volta.

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XI

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A che somiglia di più la cultura pop di questi anni? A una vecchia autoradio incantata in autoreverse, a un antico romano sul triclinio che rigurgita lo stesso banchetto, oppure a un giovane struzzo con la testa sotto la stessa sabbia? Continua a leggere “XI”

Kate Middleton

1 2 3 4 [in Deutsch]
We are standing here
Exposing ourselves
We are showroom dummies
We are showroom dummies
We’re being watched
And we feel our pulse
We are showroom dummies
We are showroom dummies
We look around
And change our pose
We are showroom dummies
We are showroom dummies
We start to move
And we break the glass
We are showroom dummies
We are showroom dummies
We step out
And take a walk through the city
We are showroom dummies
We are showroom dummies
We go into a club
And there we start to dance
We are showroom dummies
We are showroom dummies
We are showroom dummies

Anche il futuro, prima o poi, finisce in un museo

È da stamattina alle sette e mezza che provo, ma il sito è bloccato, e le linee telefoniche pure. Scelgo l’inarrivabile Trans Europe Express: lo sentii dalla filodiffusione in cucina dai miei nel 1977 e ne rimasi emotivamente agghiacciato. La versione originale in tedesco è assolutamente da isola deserta (per sentirsi ancora più soli).

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Mute anniversary @ Roundhouse (day two, a post in real time)

ERASURE

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More to follow (Andy Bell is a camp idol, Vince Clarke a synth god)

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SCUM, l’ultima giovane scommessa di Daniel Miller, un piccolo salto di epoca e di clima.

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LAIBACH

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Il cuore nero dell’Europa. Il ritorno di atmosfere della seconda guerra mondiale frantuma il sogno pop. Perfetta colonna sonora ustascia. Il fascino perverso della militarizzazione. I Death in June in confronto sono i 99 Posse. Sull’attrazione dell’estetica fascista per la cultura pop Susan Sontag ha scritto pagine interessanti. Ma questa non è roba anglosassone.

MARTIN GORE DJ SET

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Un set teso e dritto, in my humble opinion più interessante di quello di R. Hawtin di ieri sera. Gore è un’anima fragile, in bilico fra la disumanità della macchina e un timido lirismo. Ed è la forza del songwriting dei Depeche Mode. Riesce a rendere musicale anche un Dj set. Semplicemente esaltante vedere uno di questa statura usare la tecnologia. Conclude il set, epico suonandoci sopra. Ah, quei synth, ah quei suoni. Sembra Harmonia. Deutschland.

NOTA CONCLUSIVA

Senza i Kraftwerk, il gruppo più influente della storia dopo i Beatles, tutto questo – e molto altro ancora – non sarebbe mai accaduto.

Ps: sorry per le fotacce telefoniche.