Yes, they could

Per un paese come l’Irlanda è un tri­plo salto mor­tale. In avanti. Il paese sta uscendo dalle pastoie di un seco­lare cat­to­li­ce­simo pro­vin­ciale e pre­mo­derno gra­zie alla vit­to­ria dei «Sì» al refe­ren­dum sul matri­mo­nio gay, il primo al mondo nel suo genere. Ed è una vit­to­ria di circa il 57% sui 3,2 milioni di iscritti al voto in 43 col­legi, con punte di 71% nella cir­co­scri­zione di Dublino sud. Già nel pome­rig­gio di sabato i rap­pre­sen­tanti della cam­pa­gna per il «No» hanno ammesso la vit­to­ria degli avver­sari, ripe­tu­ta­mente accu­sati fino a poco prima di distrug­gere i sacri vin­coli dell’istituto familiare.

Gli irlan­desi dove­vano rispon­dere all’affermazione: «Il matri­mo­nio potrà essere con­tratto secondo i ter­mini di legge da due per­sone senza distin­zioni quanto al loro sesso». Si tratta dell’equiparazione costi­tu­zio­nale dei diritti fra cop­pie di sposi omo­ses­suali e cop­pie ete­ro­ses­suali: ed è la fine di una discri­mi­na­zione seco­lare. L’ecumenicità dell’evento è data dall’impressionante com­pat­tezza del fronte del «Sì», con governo, cele­brità dello spet­ta­colo e dello sport e grosse cor­po­ra­tion, tutti uniti nell’abbraccio dell’amore e dell’uguaglianza: dal primo mini­stro Enda Kenny al pre­si­dente della repub­blica, Michael Hig­gins, dal pre­si­dente del Sinn Féin Gerry Adams, al lea­der del Fianna Fail, Micheál Mar­tin. Il castello di Dublino, un tempo sede uffi­ciale dell’occupante bri­tan­nico, ha aperto i pro­pri giar­dini alla folla, che ha potuto seguire lo spo­glio in diretta su maxi-schermo, in un clima quasi festivaliero.

Mar­gi­na­liz­zati i gruppi con­trari, il cui pro­filo durante la cam­pa­gna è stato tutto som­mato basso, e le cui grida dispe­rate che lamen­ta­vano la fine della fami­glia sono state per­ce­pite per quello che peral­tro, in parte, sono: retrograde.

La costi­tu­zione sarà dun­que emen­data, con­sen­tendo final­mente a due per­sone spo­sate dello stesso sesso di godere gli iden­tici diritti di una cop­pia di sesso diverso: la dif­fe­renza fra matri­moni ete­ro­ses­suali e unioni civili, in vigore finora, cade, ces­sando così di discri­mi­nare i secondi a van­tag­gio dei primi. Tutto tale e quale, invece, nella con­fi­nante Irlanda del Nord, dove il matri­mo­nio gay è ancora un tabù cul­tu­rale e giuridico.

Nel com­men­tare l’esito refe­ren­da­rio, il mini­stro della sanità Leo Vara­d­kar — il primo mini­stro della sto­ria della repub­blica irlan­dese a fare coming out il mese scorso — ha par­lato, non senza una certa enfasi, di «rivo­lu­zione sociale». «Ci rende un faro, una luce di libertà ed egua­glianza per il resto del mondo», ha aggiunto.

Evi­den­te­mente, sta­volta i con­ser­va­tori «timidi» — quelli per inten­derci che hanno man­dato in malora i son­dag­gi­sti nelle recenti ele­zioni bri­tan­ni­che non dichia­rando il loro voto ai Tories – hanno vinto non solo la timi­dezza, ma anche il pro­prio conservatorismo.

L’afflusso alle urne è stato mas­sic­cio, attorno al 60%, gra­zie anche alla par­te­ci­pa­zione di gio­vani, una forza trai­nante die­tro la vit­to­ria. Que­sto nono­stante vari gruppi di cat­to­lici e pro­te­stanti evan­ge­lici aves­sero distri­buito più di novan­ta­mila opu­scoli anti-gay in tutto il Paese la scorsa set­ti­mana, nella spe­ranza di argi­nare la marea di voti a favore del matri­mo­nio gay. L’integrità della fami­glia nucleare spicca fra le pre­oc­cu­pa­zioni di que­sti gruppi, che vedono dan­neg­giata la fede cat­to­lica, e com­pro­messi gli attuali assetti legi­sla­tivi che rego­lano le adozioni.

Demo­gra­fi­ca­mente par­lando, sarà stato pro­ba­bil­mente il voto dei più gio­vani a tra­sci­nare il resto del Paese nella con­tem­po­ra­neità: una gene­ra­zione che ha avuto poco o nulla a che spar­tire con l’infanzia dei pro­pri geni­tori, cre­sciuti sotto la bac­chetta inqui­si­trice di un clero duro e gretto, la cui pedo­fi­lia quasi siste­mica ha finito per met­tere invo­lon­ta­ria­mente il turbo alla seco­la­riz­za­zione. Per votare, si sono sob­bar­cati spesso lun­ghi e fati­cosi viaggi di ritorno nella madre­pa­tria, dal momento che qui il voto postale non è in vigore.

L’isola resta ancora il paese di migranti che è sem­pre stato, soprat­tutto dopo la scia di sogni infranti che si è lasciata die­tro la bolla cre­di­ti­zia dei primi anni Due­mila. L’austerity inflitta dall’alto per rad­driz­zare i conti ha pro­vo­cato un’impennata nell’endemica dia­spora di teste e brac­cia: secondo uno stu­dio recente, i ven­tenni erano il 70 per cento dei migranti irlan­desi nel periodo 2006–2012. E sono soprat­tutto loro ad aver espresso que­sta epo­cale volontà di cambiamento.

L’Irlanda è dun­que ora il ven­tu­ne­simo paese al mondo a darsi una legi­sla­zione matri­mo­niale senza dif­fe­renze di genere, e il quat­tor­di­ce­simo in Europa.

Restano tut­ta­via altri «vec­chiumi» da rimuo­vere, e pre­sto: l’aborto è ancora ille­gale e resta proi­bito, a meno che la madre non sia in peri­colo di vita. Vari refe­ren­dum recenti che inten­de­vano ammor­bi­dire tanto medie­vale rigore sono stati sconfitti.

(il manifesto, 24/05/15)

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Autore: leonardo clausi

Si tratta di prendere Troia, o di difenderla.

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