Salda e segaligna come solo la figlia di un pastore anglicano sa essere, Theresa May non si è scomposta di fronte alle iniziative totalitarie di Donald Trump. Sono tutte nel national interest del paese, soprattutto adesso che con Brexit questo ha lasciato il proprio domicilio (l’Ue) senza averne ancora trovato precisamente uno nuovo.
La marea di firme alla petizione online (più di un milione e settecentomila) contro la visita ufficiale in Gran Bretagna, fissata nei prossimi mesi, del neopresidente americano che in poche ore ha alluvionato il sito web del governo non l’ha fatta spostare di un millimicron. La petizione non si oppone all’ingresso del presidente americano nel paese, ma a una sua visita di stato: «Causerebbe imbarazzo alla monarca e al principe di Galles» è la motivazione. Imbarazzante a sua volta, con Jeremy Corbyn che si è detto a favore di un rinvio della visita.
Nessuna tremebonda emozione, dunque, di fronte all’embargo agli ingressi negli Stati uniti di cittadini di sette paesi di religione a maggioranza musulmana, perpetrato dal presidente americano. Con buona pace delle decine di manifestazioni spontanee fioccate in tutto il paese: solo a Londra, lunedì, svariate migliaia di persone si sono ritrovate davanti 10 Downing Street per dar voce alla propria rabbia e sconcerto di fronte al rifiuto di May di condannare ufficialmente il provvedimento dell’alleato-padrone. Una debolezza travestita da realpolitik che ripercorre in pieno gli errori che valsero a Tony Blair l’epiteto di cagnolino (poodle) di George W. Bush.
Washington val bene un canile, avrà pensato May, e come darle torto? Con tutta l’immane fatica che le è costata la recentissima visita di stato alla Casa Bianca, dopo aver attraversato stoica la tragicomica conferenza stampa con un Trump che pareva sospettosamente sedato (i due o tre faantaastic con cui impreziosisce ogni sua dichiarazione pubblica suonavano poco convincenti: forse perché di governo e non più di lotta?) la premier si è ben guardata dallo scontentarlo con un’ipocrita preoccupazione per la violazione dei diritti di una collettività «altra». Inoltre la strategia del suo team è chiara. Trump va fatto oggetto di una charming offensive diplomatica, di cui Elizabeth Windsor e la sua sparuta argenteria sono parti integranti. In fondo la pagano per quello.
Resta che il parlamento – al momento impegnato a discutere la famigerata leggetta lampo sull’attivazione dell’articolo 50 che sancirà l’inizio della fine della quarantennale permanenza del paese nell’Unione Europea – questa petizione dovrà comunque dibatterla il prossimo 20 febbraio. Come anche una specularmente differente: 114mila persone ne hanno firmata una contraria, a sostegno della visita del leader del «mondo libero».
«The Lady is not for turning» la signora non cambia idea, disse stridula Margaret Thatcher nel 1980 in un discorso parlamentare rimasto storico. La giovane Theresa sicuramente era lì, in estasi, che prendeva appunti. E come dimenticare poi il sodalizio fra la siderurgica Lady e l’affabile Augusto Pinochet ora che bisogna portare neoliberalismo e sovranismo ottocentesco fascistoide a braccetto nel terzo millennio? Come Margaret al fianco di Augusto, così Theresa resterà accanto al suo MacDonald, finche qualche tribunale globale dei diritti umani (che non esisterà mai) non li separi.