Prosegue il braccio di ferro fra governo e parlamento nell’inedito costituzionale rappresentato dal Brexit, e in particolare sul Brexit Bill, la legge che dovrebbe mettere ufficialmente in moto i negoziati per l’uscita dall’Unione Europea.
Dopo aver già sconfitto la premier la settimana scorsa, votando un emendamento affinché i diritti dei cittadini europei residenti nel paese siano preservati nella loro interezza entro tre mesi dall’applicazione dell’Articolo 50 del trattato di Lisbona, ieri i Lord hanno nuovamente battuto Theresa May per 366 voti a 268.
Stavolta la camera alta, dove il governo non ha la maggioranza, ha votato per l’introduzione nell’iter di un emendamento riguardante il cosiddetto «meaningful vote»: un voto «significativo» che il parlamento esige di essere chiamato a esprimere sull’accordo stipulato da Londra con Bruxelles.
Non solo per non lasciare merito e metodo della trattativa a May e al manipolo di zeloti euroscettici di cui si è circondata, ma per non dover sorbire il brusco prendere o lasciare rappresentato dalla legge così com’è: accettare l’accordo così come negoziato da May, oppure abbandonarsi al cosiddetto salto nel vuoto dell’uscita dal mercato unico. Quest’ultima circostanza significherebbe rientrare automaticamente nel salato ginepraio di tariffe della World Trade Organization ed è paventata da vari analisti di business come un vaso di Pandora dal quale uscirebbero infinite calamità. Un voto, insomma, che equivale a una garanzia legale che permetterebbe al parlamento di rispedire la premier a riaprire le trattative qualora questo trovasse i termini dell’accordo non abbastanza vantaggiosi per il paese.
Pur essendo un secondo inciampo abbastanza imbarazzante per May, questo andirivieni fra le due camere potrebbe essere poco più che una sorta di ginnastica costituzionale, un esercizio con cui i Lord si sgranchiscono le ossa e cercano un varco nella propria cronica irrilevanza: è abbastanza difficile che, una volta tornata ai Comuni lunedì prossimo, la legge passi così emendata. Sempre che alcuni deputati conservatori non ci ripensino, gli emendamenti saranno infatti respinti dalla maggioranza del governo ai Comuni e la legge rispedita immediatamente ai Lord perché finalmente inghiottano il rospo.
Ieri i Pari avevano anche votato a larga maggioranza (205 voti) contro l’istituzione di una seconda consultazione referendaria sull’uscita dall’Ue da tenersi alla fine del negoziato di due anni che dovrebbe avere inizio, secondo la tabella di marcia della premier, entro la fine del mese. Quella del secondo referendum era una possibilità cui erano tenacemente aggrappati i liberal democratici e una dozzina circa di laburisti. Ma un voto simile non avrebbe che accelerato l’abrogazione della House of Lords.