Cotton fioc

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L’arte può fare infinite cose: insegnare, provocare, turbare, divertire, e molto altro. Quella di Will Cotton − che dal 25 giugno al 9 agosto porta alla Ronchini gallery di Londra i suoi lavori dall’inebriante effluvio di vaniglia − dolcifica. Senza però mai nutrire.

A chi crede di non conoscere Cotton basterà una semplice informazione. È l’autore della copertina dell’album Teenage dream (2010) della popstar Katy Perry, dove la cantante, in un similsfondamento baroccheggiante, appare parzialmente nuda e adagiata su nuvole di zucchero filato: una perfetta allegoria della golosità contemporanea intitolata Cotton candy Katy (Katy zucchero filato). La collaborazione con Perry − Cotton ha anche diretto il video per il suo singolo “California gurls” − è stata un buon affare per entrambi: lei, dimostrando un occhio attento all’arte, e soprattutto ricordando al mondo che non c’è solo Lady Gaga a citare Warhol, ne ha ottenuto indubbio prestigio. Per lui, il vantaggio è stato più prosaico: Teenage dream ha venduto 6 milioni di copie.

L’artista, nato in Massachusetts nel 1965 e residente a New York, ha rivisitato frequentemente il tema: le sue modelle sono di solito un po’ pin-up e un po’ Maria Antonietta, rigorosamente discinte, tanto da valergli la rituale accusa di misoginia. Tutti elementi ben in vista in Beyond the pleasure principle (2014), allegoria paradisiaca in cui un’eroina a seno scoperto è alla guida di un cocchio trainato da un animale mitologico che emerge da perigliosi flutti di gelato, mentre in Frosting flowers (2013) la giovane attrice Elle Fanning indossa un copricapo alla Vivienne Westwood ingemmato di paste.

Per ritrarre queste sontuose composizioni di dolci senza incappare nel deterioramento degli ingredienti, l’artista li ricrea in fedeli e raffinate maquette realizzate mescolando lo Styrofoam, un tipo di polistirene, alla vernice acrilica. Lo stesso procedimento viene utilizzato anche per le sue sculture come Delight (2009), che pare un omaggio alla gravità (in tutti i sensi) dello zucchero. Le influenze contemporanee sono da ricercare soprattutto nei colleghi americani: Jeff Koons prima di tutti, ma anche James Rosenquist, David Salle, e il vecchio “modernista” Stuart Davis.

Cotton, che a New York è rappresentato dalla galleria Mary Boone e presumibilmente non soffre di diabete, vive una febbrile storia d’amore con il glucosio in tutte le sue declinazioni. Definire la sua un’“arte pasticcera” riesce del tutto scevro d’ironia, anche solo perché sa preparare ottimi dolci. Con maniacale perizia, l’artista americano rapisce lo spettatore in un’estasi glicemica costruita su fondamenta di glassa e marzapane. Mosaici di caramelle, festoni di cupcakes, edifici di pan di zenzero, torri di torte nuziali: il suo è un mondo a misura di zucchero, dove il desiderio oscilla continua- mente tra l’appagamento e la nausea, ma in cui il prevedibile avvento di quest’ultima è prorogato sine die.

I quadri di Cotton sono un ponte interrotto tra i luoghi dello spirito e quelli dello stomaco. Lo scopo di questo autentico laboratorio d’arte pasticcera (in passato l’artista ha allestito un vero e proprio forno nelle gallerie dove ha esposto, regalando un po- tente corrispettivo olfattivo alla vi- sta delle sue ghiottonerie) è quello di investigare il desiderio e la sua insaziabilità nella società opulenta. L’estetica deliberatamente stucchevole che ne scaturisce è un’emanazione dell’American way of eating.

Cotton si è formato negli anni Ottanta e si vede. Non moraleggia sulla reificazione del corpo femminile, o sulla preoccupante obesità che affligge percentuali sempre maggiori della popolazione del mondo postindustriale, né tantomeno commenta l’imperativo consumistico occidentale. Ma accusarlo di superficialità è un errore. Forte di un’indiscutibile perizia pittorica, il suo sguardo rosa confetto è, semmai, del tutto oggettivo, quasi naturalistico: riporta l’eccesso a una condizione normativa. Questo perché non gli interessa l’appagamento, ma la sua rincorsa infinita.

Il suo immaginario “dolciario da forno” è frammisto di citazioni ai maestri del passato, del Settecento soprattutto: Jean- Honoré Fragonard, Jean-Antoine Watteau, François Boucher. Alcuni dei modelli di riferimento di Cotton sono accademici conservatori. Come l’acerrimo nemico di Manet, Alexandre Cabanel, dominatore della pittura francese del Secondo Impero e favorito del mediocre Napoleone III.

E nell’apprendere che la Nascita di Venere di Cabanel (e non l’Olympia di Manet) è il dipinto preferito di Cotton, tutto torna: lo svenevole, il retorico, l’estatico, il teatrale − tutti elementi barocchi mai digeriti completamente dal modernismo − si affollano nella sua tavolozza, mescolati all’immaginario americano pubblicitario, infantile e per adulti, degli anni Cinquanta.

(ARTE N. 490 – GIUGNO 2014)

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Autore: leonardo clausi

Si tratta di prendere Troia, o di difenderla.

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