Tra gli incarichi prestigiosi di Cecilia Alemani spicca la direzione di High Line Art, ex ferrovia urbana tramutata in verde pubblico disseminato di opere d’arte, uno dei luoghi di New York capaci di meglio suggellare l’interazione fra archeologia industriale e arte pubblica, e la curatela di Frieze Projects, la sezione di Frieze New York (in corso dal 5 all’8 maggio) dedicata a progetti d’arte appositamente commissionati.
Gli artisti coinvolti per questa edizione sono Alex Da Corte, Anthea Hamilton, David Horvitz, Eduardo Navarro, Heather Phillipson e Maurizio Cattelan. Sono lavori che fungono da tributo a figure o a istituzioni che sono state capaci di rinnovare l’esperienza dell’arte contemporanea. Ce ne parla proprio Alemani, astro “crescente” dei curatori italiani all’estero. Non ancora quarantenne, con il marito Massimiliano Gioni, direttore del New museum di New York, Alemani forma un rinomato binomio di connazionali saldamente installati ai vertici della scena artistica internazionale.
Come intende il mestiere di curatore in un’epoca in cui sono gli stessi artisti a trasformarsi in curatori di mostre d’arte?
«I curatori non ci sarebbero se non ci fossero gli artisti, quindi sicuramente sono due sfere completamente intercorrelate. Per me il lavoro del curatore significa aiutare gli artisti a realizzare progetti ambiziosi e sostenerli nella loro carriera. Vedo il mio ruolo come un facilitatore, che aiuti gli artisti a navigare in un mondo che è spesso complesso, burocratico e strategico come quello dell’arte contemporanea. Negli ultimi anni tanti artisti hanno anche assunto il ruolo di curatore, come per esempio per i progetti di mostre al Palais de Tokyo a Parigi da parte di Adam McEwen, Jeremy Deller o Ugo Rondinone. O come nel caso dei progetti di Roberto Cuoghi per il Museo del Novecento a Milano».
Mi parla dei punti di forza e della genesi delle sei commissioni di Frieze projects?
«Sono tutti nuovi progetti di artisti relativamente giovani, molti dei quali non hanno una galleria che li rappresenta in fiera. Quindi il loro intervento è una novità per il pubblico. Vedo i progetti speciali come un modo per interrompere il ritmo monotono della fiera – fatto di corridoi e stand molto simili – inserendo presenze che creano spazi di sorpresa, curiosità e anche pausa dal ritmo vertiginoso con cui il pubblico visita Frieze».
Come nasce il tributo di Anthea Hamilton a un caposaldo del design come Mario Bellini?
«Anthea è sempre sta ta affascinata dal radical design italiano. Recentemente per lo Sculpture center a New York ha creato un’opera in collaborazione con Gaetano Pesce – la ricostruzione di un progetto mai rea- lizzato per l’ingresso di un palazzo a New York: un gigantesco sedere attraverso il quale bisognava passare per entrare nel palazzo… Per Frieze Anthea riporterà in vita la Kar-a-sutra, un prototipo di macchina che Bellini aveva presentato al Museum of Modern Art per la celebre mostra Italy: the new domestic landscape del 1972».
Qual è stato il tratto distintivo della Daniel Newburg Gallery, oggetto del tributo di Cattelan, alla scena e al mercato di New York?
«Daniel aveva una galleria che potremmo definire cutting-edge, all’avanguardia: ha portato a New York diversi artisti europei che non avevano mai esposto prima in America, come Rudolf Stingel e Maurizio Cattelan, e ha curato molte mostre collettive senza badare troppo alle tendenze del mercato, ma fidandosi del suo intuito».
Possiamo togliere almeno uno dei veli al fitto segreto che avvolge il tributo di Cattelan a questa galleria?
«Come sempre con Cattelan, ci possiamo aspettare qualcosa d’irriverente e sorprendente. Soprattutto nel contesto della fiera, il suo progetto funzionerà come una time capsule che porterà i visitatori indietro nel tempo, agli anni Novanta a SoHo, dove si trovava la galleria di Newburg».
Come nasce l’idea del “borseggiatore al contrario” di David Horvitz?
«I suoi lavori da sempre mirano a sovvertire in modo sottile e spesso invisibile i parametri e le regole che gestiscono la nostra vita quotidiana. Per Frieze Horvitz ha pensato di arruolare un borseggiatore che, invece di estrarre portafogli e preziosi dalle borse dei visitatori, vi farà cadere dentro una piccola scultura dell’artista: un atto di generosità che sovverte la natura illegale del gesto originale»