Se non ci fosse Bbc Radio 3. Stamattina ho sentito la musica di Frederic Rzewsky, già ascoltato nel 2004 al festival di Ravello, che mi ha evocato quanto segue.
La musica americana contemporanea contiene cose pregevolissime, ben oltre il cappelletto da baseball di Steve Reich – ossessivo esploratore della rinuncia a qualsiasi narrazione e assorto in un gelido scomparire nelle tortuosità del proprio sfintere di compositore col cappelletto da baseball – e le ben note trovate a effetto di Philip Glass. Ma a parte costoro, che sono senz’altro le due più grandi bollicine della Coca Cola musicale contemporanea (eccezion fatta per il buon Terry Riley) esiste tutto un sottobosco di compositori che oltre a non seguire la via più facile (e talvolta un po’ facilona) del minimalismo, hanno legato la propria ispirazione a un’idea antagonista.
È il caso del pianista e compositore Frederic Rzewsky (1938), che nonostante il nome da cugino di Chopin è americano del Massachusetts. Allievo tra gli altri anche del nostro Dallapiccola, Rzewsky venne a Roma, Italia, negli anni Sessanta a imbibirsi della tensione sociale del primo boom (il secondo sarebbe stato quello delle stragi di stato e della lotta armata del decennio seguente). All’inizio parte dell’ensemble Musica Elettronica Viva, con Alvin Curran e Richard Teitelbaum, si è poi allontanato dall’elettronica per “tornare” al pianoforte.
Ne risultarono scritture assai più sapide di certa f-rigidità reichiana, dove il pianoforte si divide fra romanticismo, improvvisazione, e soprattutto forte legame con il vissuto collettivo: in particolare, nell’opus che vi allego qui, che ho avuto la fortuna di sentirgli interpretare a Ravello e dove il nostro mette con potenza mirabile pianismo ottocentesco, la modalità e l’improvvisazione (e anche il fischiare!) al servizio di un tema epico e politico come The People United Will Never Be Defeated! (1975) che parte ovviamente da El pueblo unido jamás sera vencido di Sergio Ortega e Quilapayún, ma usa le massacranti variazioni Diabelli del vecchio Ludovico Van come canovaccio.
È uno straordinario, intenso tour de force di circa un’ora, 36 variazioni: roba da crampi alle manine. Buon ascolto.