La marcia dei rimasti

Bandiere europee a Londra alla marcia della campagna pro-Ue People's Vote

Sono scesi a Londra da ogni contrada del Paese, molti dal nord, il milione circa di persone della manifestazione anti-Brexit/pro secondo referendum. Non solo le «èlite», quelli che non ci stanno a uscire dall’Ue, che amano il vino francese, le vacanze in Spagna, l’opera italiana e leggono il Guardian, ma anche moltissimi giovani, quelli che si sentono traditi dalla scelta gretta della borghesia proprietaria, tutta patria famiglia e corona del sud come da quella delle comunità ex-operaie del nord deindustrializzato da Thatcher.

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Disse la goccia alla roccia…

Ieri erano passati mille giorni dal referendum del 24 giugno 2016, oggi l’ora Brexit è letteralmente dietro l’angolo, alla fine della settimana prossima, il 29 marzo. Con una grande manifestazione londinese programmata questo sabato dai fautori di un secondo referendum – il cosiddetto “voto del popolo”, per il quale continuano a non esserci i numeri in parlamento – la commedia Brexit continua a essere recitata a soggetto.

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La Brexiteide, poema poco epico.

Nella Brexiteide (poema prosaico, narra le gesta di una nazione che lascia un continente senza avere la minima idea di come si faccia pur di dirigersi lesta verso una destinazione ancora ignota) i momenti cruciali sono ormai routine.

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L’accordo del May

L’accordo di uscita dall’Ue di Theresa May è stato di nuovo sconfitto, per 242 a 391, 149 voti contro. Sconfitta non schiacciante come la precedente, nondimeno più che netta. Vuol dire che oggi si vota se lasciare l’Ue senza un accordo o meno. E che giovedì si voterà su una proroga di tre mesi dell’uscita fissata il 29 marzo. Di più non è dato sapere.

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Il Tao del Labour

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Nel dibattito in aula seguito alla presentazione della famigerata bozza di accordo con l’Ue sulla British Exit, Jeremy Corbyn – ormai padrone indiscusso di quella pratica che Trotskij definiva il parliamentary cant, la (menzognera e ipocrita) retorica parlamentare – ha vigorosamente attaccato il governo May giurando che non voterà mai a favore di quella bozza di accordo, definendola abborracciata, inconcludente e soprattutto contro gli interessi del popolo britannico.

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L’accordo della discordia

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Se ieri mattina Theresa May si è svegliata più leggera, era perché il suo governo aveva appena perduto due ministri chiave e stava per perderne altri sei. La notte, infatti, porta consiglio. E a volte dimissioni.

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Futuro al ritorno

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Nel discorso con cui Jeremy Corbyn ha concluso la tre giorni congressuale del partito a Liverpool c’erano gli elementi principali che hanno contraddistinto il ritorno del Labour a se stesso nei tre anni da che ne ha preso rocambolescamente le redini: la lotta alla disuguaglianza, alla catastrofe ambientale, alla disoccupazione, alla colpevole passività del Paese nei confronti del problema palestinese (di cui è tutto sommato corresponsabile) e – elemento, questo, del tutto nuovo – al suo tradizionale ruolo ancillare nei disastri statunitensi in politica estera.

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