Londra ha accolto Donald Trump con il suo miglior grigiore, la sua migliore pioggia, i suoi migliori manifestanti. E mentre il pallone gonfiato con l’effige del presidente degli Stati uniti sventolava irriverente sulle decine di migliaia di teste accorse a dire no al rituale diplomatico ossificato, vuoto e opulento riservatogli, l’effigiato – non meno gonfiato – continuava il tour delle massime cariche dello stato britannico.
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The Nasty Party is back
Ieri a Halifax, nello Yorkshire, Theresa May ha presentato il programma elettorale del partito conservatore per le politiche, l’8 giugno prossimo. Fin dall’annuncio choc di queste elezioni in una mossa da guerra lampo, tre settimane fa, era andata ripetendo con regolarità da umanoide lo stesso slogan sulla leadership «forte e stabile», necessaria a guidare il Paese attraverso le forche caudine del negoziato Brexit.
Jeremain
Eccola, l’uscita in fondo a destra. I punti di vantaggio del fronte dell’uscita sono diventati sette. E la temperatura sale inesorabile anche fuori della Gran Bretagna, con il tabloid tedesco Bild, purtroppo il più letto d’Europa, che parla di «storia scritta nel fango», tanto per ammorbidire i toni di una campagna i cui toni anche a livello internazionale cominciano ad abbandonare il volemose bbene di un tempo.
Personae non gratae
I dilemmi principali della politica britannica di questo periodo vertono sull’uscita (propria) dalla Ue e l’entrata (altrui) nel paese. La prima è un rischio possibile; la seconda una calamità sociale da evitare a ogni costo.