La notizia delle canzoni fasciste al Festival di Sanremo – rientrata o meno che sia – pone soprattutto una questione che credo coloro che dibattono su par condicio, democrazia, revisionismo storico, tutela delle minoranze oppresse, tralascino.
La questione è: come mai nel giornalismo presunto d’opposizione dell’Italia contemporanea, quello del gruppo Espresso soprattutto, si parli così spesso di “fuga dei cervelli” (il talento nostrano sottoutilizzato in patria ergo costretto a un’umiliante migrazione) e mai, che so io, di “fuga degli stomaci”?
La risposta è dolorosamente ovvia: gli stomaci degli italiani “dissidenti” dell’era berlusconiana sono di ferro, digeriscono qualunque porcata. E francamente, dopo gli ultimi sviluppi riguardo alla night life del Premier (che io continuo a considerare la marca di una batteria), un inno fascista sul palcoscenico di una manifestazione come Sanremo, con i post fascisti al momento l’alleato principale della sinistra, è una bazzecola.
Insomma, la fuga degli stomaci, la fuga di quelli a cui viene da vomitare a guardare il Paese in faccia, non c’è e non ci sarà. Fuga da dove, e per dove poi? Si rimane qui, a temprare la propria resistenza gastrica, proprio come ai tempi dell’olio di ricino.
“Quello che non mi stomaca mi rafforza” insomma, parafrasando Nietzsche. Più che lecito, è disperatamente necessario dubitarne.