Ancora solo per i tuoi Hockney

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È un ritorno a grande richiesta, e nella “sua” Royal Academy. Dal 2 luglio al 2 ottobre, presso l’illustre galleria di Piccadilly, a Londra, l’accademico reale David Hockney presenta i suoi ultimi, attesissimi, lavori. Come per la sua ultima mostra nel 2012 alla Royal Academy (A bigger picture), si prefigurano di nuovo file interminabili per vedere uno dei massimi pittori viventi tornare a un genere di cui è indiscusso maestro: il ritratto. Tanto che sarà indispensabile prenotare.

Ci sono dei grandi che, in età avanzata, lungi dall’ossificarsi ripetendo ad libitum gli stessi percorsi di gioventù, si avventurano in nuovi territori: Picasso, Tiziano, Rembrandt, tanto per citarne tre. Se c’è un artista vivente il cui nome oggi non sfigura accanto a simili titani, è quello di David Hockney (Bradford, 1937): esploratore infaticabile, costantemente al lavoro, aperto a nuove tecnologie e avido di sperimentazione pur avendo ormai accumulato un’immensa esperienza, il pittore inglese può meritatamente fregiarsi dell’ormai abusato aggettivo “iconico”. Con la mostra A bigger picture, dedicata alle interminabili serie di bucoliche vedute del nativo Yorkshire – alcune delle quali dipinte su tablet – nel 2012 la Royal Academy fece un colpaccio. Ora, con 82 portraits and 1 still-life (82 ritratti e una natura morta) si propone di raddoppiare il successo. Curata, come la precedente, da Edith Devaney, la rassegna propone il ritorno di Hockney al ritratto, un genere che lo aveva reso famoso negli anni Sessanta e Settanta, ma dal quale si era gradualmente allontanato.

Dopo aver abbandonato la severità del suo Yorkshire per il sole della West coast americana, il maestro 78enne presenta 82 ritratti, dipinti a Los Angeles in due anni e mezzo di sedute, cominciate nel 2013 e ripartite in tre sessioni di sei ore ciascuna. Nessuno gli è stato commissionato (non dipinge per committenza): i modelli sono stati tutti scelti da lui e selezionati tra amici, colleghi, collaboratori, conoscenti (c’è anche un tecnico di frigoriferi). Tutti seduti sulla medesima sedia, su un pavimento e sfondo alternativamente turchesi o blu.

Nomi noti e meno noti, tra cui l’artista concettuale John Baldessari, i galleristi Larry Gagosian e David Juda, stelle dell’architettura come Frank Gehry, ma anche una vedette dell’intrattenimento en travesti come l’australiano Barry Humphries (noto nell’anglosfera per il suo personaggio di Dame Edna), il banchiere Jacob Rothschild, la stilista Celia Birtwell oltre a John e Margaret, fratello e sorella del pittore. Hockney li considera tutti come parte di un’opera unica: ritratti senza piaggerie ad acrilico su tela – tutte della stessa dimensione, cm 122×91 – e realizzati con un disegno preparatorio. Contrariamente all’amico Lucian Freud, per il quale aveva fatto da modello anni addietro, Hockney

non è loquace: se Freud amava chiacchierare, con lui la sessione avviene in silenzio.

Dopo la scomparsa di Freud, insieme con il tedesco naturalizzato Frank Auerbach Hock- ney è oggi il massimo pittore britannico vivente, oltre che il più famoso. Fu uno dei primi veri hipster, apertamente gay, con i capelli ossigenati e la montatura degli occhiali spessa e rotonda. In un mezzo secolo abbondante di carriera ha saputo fotografare – di nome e difatti – un momento fondante della cultura pop degli anni Sessanta: l’esistenza bohémienne della comunità di artisti e intellettuali della California, dove il sole e le palme dei viali, le piscine nelle ville razionalistiche immerse nel verde, l’edonismo e una certa joie de vivre liberale e libertina – comodamente radicata nel solito benessere materiale – sarebbero diventati la cifra della Western way of life. Questa mostra è il suo contributo a una ritrattistica per il XXI secolo.

(Arte, 07/16)

 

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Autore: leonardo clausi

Si tratta di prendere Troia, o di difenderla.

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