
Non uno schiaffo, tutt’al più uno scappellotto: dopotutto, alla camera dei Lord, i Tories non hanno la maggioranza.

Non uno schiaffo, tutt’al più uno scappellotto: dopotutto, alla camera dei Lord, i Tories non hanno la maggioranza.
Il libro bianco – inteso come sorta di dépliant programmatico ufficiale a fini illustrativi – del governo May sulla negoziazione dell’uscita dall’Ue è stato trionfalmente presentato ieri alla Camera dei Comuni dal Brexit secretary David Davis. In tutto 77 pagine, previa introduzione della premier, che contengono i temi e gli obiettivi, dodici in tutto, da cominciare a discutere con la controparte europea alla fine di marzo, secondo la tabella di marcia fissata dalla stessa May.

Salda e segaligna come solo la figlia di un pastore anglicano sa essere, Theresa May non si è scomposta di fronte alle iniziative totalitarie di Donald Trump. Sono tutte nel national interest del paese, soprattutto adesso che con Brexit questo ha lasciato il proprio domicilio (l’Ue) senza averne ancora trovato precisamente uno nuovo.

La special relationship è viva e vegeta, lo dimostrano le foto di Theresa May e Donald Trump vicino al busto di Churchill, restituito alla sua legittima postazione nello studio ovale dopo che Obama lo aveva “irrispettosamente” dirottato altrove.
Era ampiamente previsto, e le previsioni si sono avverate. La Corte suprema britannica ha infine confermato in appello lo schiaffo già vibrato al governo May lo scorso giugno, quando l’Alta corte aveva decretato necessario un voto parlamentare per innescare il meccanismo di uscita dall’Ue, l’atto di notifica che mette in moto l’abbandono dell’Unione Europea attraverso l’articolo 50 del Trattato di Lisbona. Continue reading “Toga! Toga! Toga!”

Brexit is (hard) Brexit. Niente permanenza nel mercato unico europeo per la Gran Bretagna: significherebbe continuare a soggiacere all’affronto di sovranità rappresentato dalla giurisdizione della Corte europea di giustizia su quelle nazionali e soprattutto il mancato controllo dell’immigrazione, i due vessilli più sventolati dai propagandisti del Leave. In altre parole: equivarrebbe a restare nell’Ue, contravvenendo in modo imperdonabile al mandato referendario espresso dagli elettori. Continue reading “Little Britain”

Non succedeva dal 1876. Per una delle crisi istituzionali più serie di sempre, la Corte suprema britannica convoca il collegio completo dei giudici: undici.
Non è ancora un anno che parliamo di David Bowie al passato e già si profila la prima salva postuma di uscite discografiche e teatrali, a ricordarci quanto più povero sia oggi il mondo dei molti che lo amano visceralmente.

Aumenta la pressione sul governo conservatore guidato da Theresa May, e non solo in riferimento alla saga Brexit. L’elezione di Donald Trump rappresenta un’incognita che va ben oltre la delicata transizione del Regno Unito fuori dell’Ue, per la quale finora May, nonostante plurimi sforzi per dissimularlo, non sembra aver ancora un piano definito.
Brexit in America? Supertrump just did it. Liberal, progressive, identity politics-obsessed America should face it, regroup, and antagonise it. A little soul-searching in the so-called left-wing moderates won’t do any harm either: the antiphon hammered for so long that the class conflict had been superseded, alongside the categories of left and right, has just been dramatically contradicted. The society of spectacle of course played its part.
Continue reading “‘Made in Italy’ Right wing: anticipatory and shameful”