Il suo governo è appeso a un filo di saliva, finora ha infilato più cantonate di una casa cantoniera, dovrebbe essere al timone e invece ramazza il ponte e pela patate in cambusa.
(continua)
Il suo governo è appeso a un filo di saliva, finora ha infilato più cantonate di una casa cantoniera, dovrebbe essere al timone e invece ramazza il ponte e pela patate in cambusa.
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La città di Manchester ha risposto egregiamente all’indicibile orrore dell’Arena. Durante la veglia a St. Anne Square, la folla ha cantato una canzone degli Oasis, Don’t Look Back In Anger. Oltre a essere uno splendido segno di coesione e inclusione, l’episodio dimostra come la cultura pop, in un luogo che ne ha prodotta tanta e di ottima qualità, abbia sostituito il repertorio tradizionale cui si sarebbe attinto in passato in una situazione simile: canti di chiesa, da stadio, inni nazionali. Tutte robe alle quali bisognerebbe sentirsi vicini come il rinascimento alla rinascente.
È stato un momento davvero commovente, e benché uno in cui le considerazioni estetiche suonino quasi offensive, quella è la canzone bruttina di una band peggiore.
Questa è una bella canzone di eroici veterani post-punk, non britpop incrostato di blairismo. Anche se sono di Londra.
Mai come nel caso del neoeletto leader del Labour Party, Jeremy Corbyn, si era invertita la piramide gerarchica all’interno di un partito di opposizione, con la base che ha spettacolarmente scippato il timone alla dirigenza. E le conseguenze sono dirompenti, sia per le ripercussioni negli equilibri interni al partito e nella propaganda dei conservatori – il cui congresso, tenutosi a Manchester, si è appena concluso — che per via dell’ormai ben nota eresia corbyniana su due cardini dello status quo politico-istituzionale del paese: gli armamenti nucleari e la monarchia.