Donald Trump a Londra (I)

Nemmeno s’era aperto il carrello per atterrare a Stansted nella visita di Stato di tre giorni, che già Donald Trump faceva dono all’umanità di un altro dei suoi cinguettii sibilanti. Nella fattispecie ne era destinatario Sadiq Khan, sindaco della capitale nella quale si apprestava ad atterrare, definito dall’impresario della compagnia di giro che è diventata la presidenza degli Stati uniti «un gelido sfigato».

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Nigel Carnage

Come volevasi temere. Alle elezioni europee che non dovevano accadere Farage is back, mentre Tories e Labour prendono tante mazzate, redistribuendo i propri voti i primi al Brexit Party del succitato e al suo ex partito Ukip, i secondi ai Libdem e ai verdi.

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Le idi di maggio

Alla fine The end of May è stata The end of May, le idi di maggio di Theresa. Se ne andrà il sette giugno: l’ha annunciato ieri, in tarda mattinata, dopo aver tentato per l’ennesima volta di salvare il suo accordo per l’uscita dall’Ue, incontrando un ormai familiare muro di astio e dileggio nel suo stesso partito e perdendo altri pezzi del suo ormai sgangherato governo.

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Di nuovo qui?

Riluttante e con un misto di rabbia, disillusione, risentimento e caparbia speranza, la Gran Bretagna si è trascinata ieri alle urne per partecipare suo malgrado alle elezioni europee, il rito clou dell’istituzione che decise di lasciare tre anni fa e dal cui abbraccio non riesce a divincolarsi, o meglio, a volersi divincolare.

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L’accordo ormai del tutto scordato

Il paese va oggi alle urne per un plebiscito al quale non è riuscito a sottrarsi, guidato da una leadership comatosa e osteggiata. Ci va controvoglia o con l’intento di punire i responsabili del mess, il caos Brexit di cui la stessa leader fa ormai parte per meriti sul campo.

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I perdenti e i non vincitori

Jeremy Corbyn; in basso Theresa May al seggio di Maidenhead con il marito Philip

Atene piange, e lacrime amare: alle elezioni amministrative in Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord i Tories beccano la mazzata dovuta e auspicata. A spoglio non ancora del tutto effettuato, ieri pomeriggio, avevano perso 800 seggi e ventotto circoscrizioni inglesi.

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E quarantadue

«Sono innocente, lo giuro sulla vita dei miei figli» afferma Gavin Williamson, il ministro dimissionario numero quarantadue del governo di Theresa May dopo il secco benservito ricevuto dalla premier per l’affaire Huawei. Continue reading “E quarantadue”

Doccia scozzese

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Sono passati cinque anni dal primo referendum per l’indipendenza dalla Gran Bretagna, quando gli autonomisti furono sconfitti per 55% contro 45% dei voti. Ora la Scozia vorrebbe tenerne un secondo entro la fine della corrente legislatura: il maggio 2021. Lo ha annunciato ieri la prima ministra nazionalista Nicola Sturgeon ai deputati di Holyrood, il parlamento scozzese.

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Brexit? In fondo a destra

Nigel Farage e Annunziata Rees-Mogg al lancio del Brexit Party

Dopo giorni di colloqui inconcludenti, John McDonnell, cancelliere ombra dello scacchiere e sodale politico di Jeremy Corbyn, ha definito «positivo» e «costruttivo» il dialogo con i Tory David Lidington e Michael Gove per sbloccare la paralisi parlamentare su Brexit. In discussione la parte “leggera” dell’accordo, la cosiddetta dichiarazione politica, una sessantina di pagine prive di valore legale che abbozzano l’assetto dei futuri rapporti commerciali fra le parti. Gli incontri continueranno nell’arco dei prossimi dieci giorni.

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L’onere della proroga

Il Regno Unito rischia ancora di uscire alle ventitré Gmt di domani sera senza accordo dall’Ue e in barba ai voti contro un no deal espressi dal parlamento britannico nei giorni scorsi, indicativi o vincolanti che fossero. Salvo che questa non decida di concedergli l’ormai famigerata, ennesima proroga all’articolo cinquanta, si legga scadenza Brexit, che secondo Donald Tusk dovrà essere di almeno un anno.

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