Uscita di insicurezza

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Tempestivamente e nel segno della più febbrile urgenza auto-promozionale, avverto che l’anno scorso, il sette dicembre, è uscito per i tipi di manifestolibri un mio saggetto polemico che attraversa di un fiato (corto) secoli di storia e cultura inglese alla luce della famigerata British Exit. S’intitola Uscita di insicurezza. Brexit e l’ideologia inglese.

Compravàtevelo, fingete di leggerlo e possibilmente infliggetelo ai vostri peggiori nemici.

 

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Ci scusiamo con i passeggeri

L’esasperazione delle circa tre­mila — una stima pru­dente — per­sone ammas­sate in con­di­zioni d’inimmaginabile degrado nell’accampamento presso Calais ribat­tez­zato «la jun­gla» perio­di­ca­mente tra­bocca. Allo stil­li­ci­dio di vit­time schiac­ciate sotto le ruote fer­rate o fol­go­rate dall’alta ten­sione nel ten­ta­tivo di abbor­dare i treni che tra­spor­tano vei­coli e merci attra­verso il tun­nel sotto la Manica (la tre­di­ce­sima e ultima vit­tima un ven­tenne eri­treo, morto lo scorso mer­co­ledì), ha fatto seguito un ten­ta­tivo d’irruzione in massa nel ter­mi­nal fran­cese che ha bloc­cato entrambe le gal­le­rie dalla mez­za­notte alle otto del mat­tino di sabato.

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L’antiretore

L’atteso discorso di Jeremy Cor­byn alla pla­tea del con­gresso nell’anno zero del par­tito è stato final­mente pro­nun­ciato. Atteso, e quanto: non solo per via della pre­senza ancora un po’ irreale su quel podio di una figura fino a ieri ignota ai più e ora al comando di una delle macchine-partito più vaste e com­plesse d’Europa; ma soprat­tutto per­ché doveva legit­ti­mare il ruolo del lea­der e mostrare la com­pat­tezza die­tro di lui.

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