
Il prossimo 8 giugno la Gran Bretagna si recherà nuovamente alle urne a poco più di un anno di distanza dal referendum che ne ha decretato l’uscita dall’Unione Europea, stavolta per elezioni politiche anticipate.

Il prossimo 8 giugno la Gran Bretagna si recherà nuovamente alle urne a poco più di un anno di distanza dal referendum che ne ha decretato l’uscita dall’Unione Europea, stavolta per elezioni politiche anticipate.

Nonostante la privatizzazione, Royal Mail, la posta britannica, ancora gode di buona reputazione. E alle 13,20 di ieri ora italiana, Theresa May ha puntualmente recapitato a Donald Tusk la storica lettera «di dimissioni» della Gran Bretagna dall’Unione Europea.

Era stata organizzata già mesi fa, ma sulla scia dell’attacco terroristico a Westminster di mercoledì era stata messa in forse, provocando anche una spaccatura fra i due principali comitati organizzatori.

Era solo una questione di «quando», non «se» sarebbe successo. L’orrida scia di sangue che stria le capitali europee ormai da tempo e che proprio qui – a parte l’isolato benché brutale omicidio del soldato Lee Rigby, quattro anni fa – aveva avuto negli attacchi del luglio 2005 la sua epifania continentale era attesa, temuta, prevista.

Il giorno dopo aver subito un tragico assaggio di quello che Kabul, Baghdad e troppe altre città vivono più o meno settimanalmente da anni, Londra ha ripreso il suo consueto ronzio: i suoi abitanti tirano dritto attraverso la giornata lavorativa, anche se il colpo è stato duro, sia in termini simbolici sia in tributo di sangue.

L’attacco terroristico al cuore del parlamento britannico comincia in una giornata come le altre: il solito andirivieni di deputati, giornalisti e funzionari, Prime Minister Questions del mercoledì a ora di pranzo, il solito brulicare di turisti sul ponte che connette il parlamento a Nord con il London Eye, la grande ruota bianca, a sud.
Da inquilino modello, la Gran Bretagna ha dato puntuale la disdetta del contratto d’affitto.

La Gran Bretagna ha una storia recente assai più presentabile di quella del resto d’Europa: niente fascismo (o quasi), niente lager, niente gulag, nessun rischio rivoluzionario. Anzi: due guerre mondiali vinte, e la seconda inequivocabilmente dalla parte della ragione, quella del «mondo libero».

Prosegue il braccio di ferro fra governo e parlamento nell’inedito costituzionale rappresentato dal Brexit, e in particolare sul Brexit Bill, la legge che dovrebbe mettere ufficialmente in moto i negoziati per l’uscita dall’Unione Europea.

Non uno schiaffo, tutt’al più uno scappellotto: dopotutto, alla camera dei Lord, i Tories non hanno la maggioranza.