Il sublime reazionario

V.S. Naipaul è uno dei massimi scrittori viventi in lingua inglese. La sua prosa è quanto di più vicino alle “chiare, fresche et dolci acque” di pertrarchesca memoria. Il suo occhio è lucido, tagliente, analitico, impassibile. Il carattere, molto difficile, per non dire pessimo. Continue reading “Il sublime reazionario”

Gli oligarchi dell’hip-hop

Ho scritto un pezzo sullo stato attuale del rap e delle sue megastar per l’Espresso, che ci teneva tanto. Aggiungendo anche un pizzico di paillettes a un genere altrimenti patologicamente omofobo. Di seguito il testo, per intero e senza estrogeni. Qui, il pezzo in edicola.

Dov’è finito il rap? Sembrerebbe una domanda oziosa, proprio mentre Jay-Z e Kanye West portano trionfalmente in Europa il tour del loro Watch the throne, una collaborazione che è l’equivalente hip-hop della fusione fra AOL e Time Warner, e Snoop Dogg arriva a Roma il 3 luglio. L’album, uscito l’anno scorso – è disco di platino negli Usa e ha ricevuto critiche positive. Eppure non riflette lo stato di salute di tutto un genere. Che anzi pare in fase di stallo, commerciale e artistico.

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La difficile arte del rifiuto

Giancarlo Menotti (1911-2007), il compositore per il quale ho avuto la fortuna di lavorare, ricevette svariate onorificenze, tra cui quella di Cavaliere di Gran Croce, Ordine al Merito della Repubblica Italiana e la Medaglia d’oro ai benemeriti della cultura e dell’arte. Le chiamava “le patacche”, con malcelato disprezzo. Anche se poi nessuno come lui sapeva indossare uno smoking per andare alle serate di gala, una cosa, questa, che gli procurava grande, altrettanto malcelato piacere.

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Più Monty, meno Monti

Una chiacchiera (unabridged and unedited) con Terry Gilliam, prima di Natale, uscita sul Vogue Italia di dicembre.

Terry Gilliam è seduto in una delle sale del Century Club, nel mezzo di Theatreland, a Soho. Nonostante i molti decenni trascorsi in Gran Bretagna (qualche anno fa ha persino rinunciato alla cittadinanza americana) mantiene l’atteggiamento da all-American guy: gioviale, aperto, prodigo di sorrisi. “Sono appena arrivato anch’io”, si affretta a specificare gentilmente, forse per rassicurarmi sul mio pur lieve ritardo. Settantenne, fisicamente è in grande forma, meglio dei suoi ex complici: i capelli, molto corti, si lasciano sfuggire ancora quel codino sottile, un passo falso che lo rende simile a un biker, o a un metal fan tedesco d’inizio anni Ottanta. Continue reading “Più Monty, meno Monti”