Mi estinguo, dunque mi ribello III

Londra, Extinction Rebellion in piazza

Quinto giorno di mobilitazione londinese di Extinction Rebellion, o semplicemente Xr, movimento militante ecologista nel pieno di un’ondata di azioni di disturbo/protesta che punta a paralizzare la capitale. Finora il clima nei blocchi stradali e nei presidi era quello di un festival controculturale, risoluto ma rilassato nelle proprie rivendicazioni. L’idillio fra polizia e manifestanti sembrava tuttavia dileguarsi ieri quando la polizia cominciava a rimuovere di peso i dimostranti accampati a Oxford Square.

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Brexit? In fondo a destra

Nigel Farage e Annunziata Rees-Mogg al lancio del Brexit Party

Dopo giorni di colloqui inconcludenti, John McDonnell, cancelliere ombra dello scacchiere e sodale politico di Jeremy Corbyn, ha definito «positivo» e «costruttivo» il dialogo con i Tory David Lidington e Michael Gove per sbloccare la paralisi parlamentare su Brexit. In discussione la parte “leggera” dell’accordo, la cosiddetta dichiarazione politica, una sessantina di pagine prive di valore legale che abbozzano l’assetto dei futuri rapporti commerciali fra le parti. Gli incontri continueranno nell’arco dei prossimi dieci giorni.

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L’onere della proroga

Il Regno Unito rischia ancora di uscire alle ventitré Gmt di domani sera senza accordo dall’Ue e in barba ai voti contro un no deal espressi dal parlamento britannico nei giorni scorsi, indicativi o vincolanti che fossero. Salvo che questa non decida di concedergli l’ormai famigerata, ennesima proroga all’articolo cinquanta, si legga scadenza Brexit, che secondo Donald Tusk dovrà essere di almeno un anno.

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Psicopatologia della Brexit quotidiana

A meno di una settimana dal 12 aprile, data in cui la Gran Bretagna schizzerebbe fuori dall’Ue senza accordo con paventate, telluriche conseguenze sull’economia, Theresa May cerca per la seconda volta una Brexit-proroga al 30 giugno, dopo che il suo accordo sul ritiro dall’Ue è stato sconfitto alla camera per la terza volta la settimana scorsa.

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A bad deal is better than no deal

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Mancano nove giorni al 12 aprile, data in cui l’Ue ha stabilito che la Gran Bretagna uscirà senza un accordo non avendo finora approvato l’unico disponibile.

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Brexit means agony

Come volevasi, l’atteso e disatteso sequel della trilogia di Theresa May, Voto Significativo 3, è stato un flop come i precedenti. In una giornata assolata e tuttavia plumbea, complice anche il fatto che proprio ieri cadeva la scadenza originale fissata dalla premier per l’uscita dall’Ue (ai bei tempi, quando ancora ripeteva cibernetica «Brexit significa Brexit»), la camera degli imputati ha rigettato per la terza volta l’accordo. Non uno sganassone come i precedenti, ma pur sempre un’inequivoca sberla, 58 voti di scarto.

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Barcolla, ma molla

Barcolla, ma mollerà. Theresa May potrebbe intravedere – e, con ella, noi tutti – la linea del traguardo del Brexit-strazio. Quella del suo deal, al quale è incatenata. Per farlo ha finalmente promesso che lascerà la carica prima della seconda fase dei negoziati con l’Europa (a luglio, sembrerebbe), ammesso che il boccone del suo accordo della discordia venga finalmente inghiottito da Westminster.

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Non mollare May

È cominciata l’ennesima settimana più importante a Westminster dalla crisi di Suez o, per chi preferisce, dall’avvento al premierato di Winston Churchill (ormai si susseguono da mesi). Dopo l’imponente manifestazione di massa di sabato pro-secondo referendum e i cinque milioni di firme alla petizione online per la revoca dell’articolo 50 e la cancellazione della British exit, gli ingredienti per consolidare la paralisi del parlamento sono tutti ancora lì.

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La Brexiteide, poema poco epico.

Nella Brexiteide (poema prosaico, narra le gesta di una nazione che lascia un continente senza avere la minima idea di come si faccia pur di dirigersi lesta verso una destinazione ancora ignota) i momenti cruciali sono ormai routine.

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No no deal

Nel caso in cui non fosse ancora chiaro, Westminster sa cosa non vuole, ma non sa cosa vuole. Lo conferma il secondo atto della trilogia «tre voti in tre giorni», che si è concluso con 321 voti contro 278 (maggioranza di 43). La Camera ha dunque rigettato un’uscita dall’Ue senza accordo, a sedici giorni dall’ora Brexit, fissata il 29 marzo, e ventiquattro ore dopo la seconda, altrettanto sonora, sconfitta dell’accordo di Theresa May, crocefisso al fantomatico backstop.

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