(Mi scuso se mi ripeto, ho già scritto in passato della mia prima intervista a Jaz Coleman, qui ne ho già pubblicata una, ne scrivo in continuazione, ma dopo aver visto questa, rilasciata al giornalista Mike James e ascoltando a ruota l’ultimo, spettacolare album Pylon, non ho resistito a tornarci sopra.)
Category: musica
Killing Joke: la luce in fondo al tunnel
A Londra fa un caldo assurdo per essere metà novembre, non sembra la stessa città. Questo senso di spaesamento spaziotemporale affligge particolarmente chi può ricordare il clima pre-global warming: grossomodo ancora venticinque anni fa, i coglionazzi del “tutto va bene” cominciavano a esercitare il proprio cinismo sulla scomparsa della mezza stagione.
Completely irrelevant anniversaries – Bohemian Rhapsody
Our popular culture is full of irrelevant anniversaries. Like that of Bohemian Rhapsody, for a start: one of the most overblown, pretentious, cheesy and nonsensical singles in the whole of popular music.
Its only merit? To encompass everything that is wrong about Seventies’ rock.
Its worst guilt? To have inspired one of the most overblown, pretentious, cheesy and nonsensical contemporary “rock” bands: Muse.
Per aspera ad astra
Bella da commuovere, con quel synth dritto dritto da Gary Numan circa 1979, o giù di lì. Cercare di non sentirla troppe volte di seguito e di non cantarla a squarciagola come un povero fesso. Il resto del disco non è da meno.
Faith No More: quando l’attesa paga
A volte – anzi, quasi sempre – si riformano. I Faith No More tornano con “Sol Invictus” a diciotto anni dal loro ultimo “Album of the Year ”, del 1997: nostalgico appagamento per chi li ricorda riscrivere le regole del rock da stadio anni Novanta, quando fornivano un ironico contrappeso alla misantropia del grunge. E interessante scoperta per chi, all’epoca, metteva i dentini.
Si erano ritrovati a tavola, a pranzo dall’ex manager a Los Angeles. Patton (voce), Billy Gould (basso), Roddy Bottum (tastiere), e Mike Bordin (batteria). Uno squillo al chitarrista Jon Hudson, e nel 2008 ricominciano a suonare in giro per festival. Messo insieme nuovo materiale, hanno registrato a casa di Gould e pubblicato con l’etichetta di Patton, la Ipecac.
Formatisi nel 1985, i Faith hanno sfidato ogni categorizzazione. Il passaggio continuo dal metal a Ennio Morricone, dal soul più morbido al rap, dalle tastiere cortesi di Bottum al punitivo rullante di Bordin, ne fa un’avvincente enciclopedia di generi. In questi anni, Patton ha continuato così: con venti album e cinque o sei band ha rivisitato tutto lo scibile musicale, dai canti degli indiani d’America alle colonne sonore di B movie italiani anni Settanta.
June
Specie minacciate dal global warming
L’aspetto più intrigante di molta musica attuale sono i riferimenti stilistici che contiene. Nascosti o manifesti che siano, il gioco intellettuale di volerli identicare a tutti i costi prende il sopravvento sul godimento dell’ascolto vero e proprio. Continue reading “Specie minacciate dal global warming”
Cigarettes, ice cream, figurines of the Virgin Mary
Roma. Da anni, ogni volta che passo attraverso Via di Porta Angelica, mi viene in mente The Great Deceiver dei King Crimson.
Appello per gli assenti
L’ondata di violenza repressiva a danno dei neri che attraversa l’America in questi mesi ha scatenato un prevedibile profluvio di analisi e discussioni. Si può senz’altro commentare la persistente atmosfera parasegregazionista in tante parti del continente nordamericano. Ma visto che il pop interviene ormai costantemente con autoassolutorio (e peloso) paternalismo nella sfera civile (cfr. il caritatevole ritorno dell’armata Geldof pro-Ebola con un brano il cui titolo è sempre lo stesso vecchio insulto colonialista agli africani), c’è un bisogno quanto mai urgente di voci che stigmatizzino l’ingiustizia senza fronzoli ipocriti.
“Roll call For Those Absent” (Appello per gli assenti) si trova nell’ultimo album di uno dei più interessanti trombettisti e compositori jazz in circolazione. E’ una lista di nomi di giovani e adulti neri ammazzati dalla polizia negli ultimi anni, letta dalla figlia piccola del batterista della band. Una lista di cui ancora si continua a non vedere la fine.
Cosa vuol dire inchiodare l’essenza dell’ingiustizia con una manciata di note e una sfilza di nomi pronunciati dalla voce innocente di una bambina? Qualcosa di simile all’ascolto di questo pezzo. Dice più di mille articoli di denuncia.
Shades of Cocteau
Ultraviolence, il disco di Lana del Rey è… bello. Per quanto riesca ad esserlo un prodotto superpatinato. La “edginess” della produzione di Dan Auerbach (Black Keys), pur erogata col dispenser del dentifricio Mentadent, riesce perfettamente nell’intento. Continue reading “Shades of Cocteau”
