Boris (va) Vian

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Johnson in uno dei momenti salienti della sua performance da sindaco

La capitale della Gran Bretagna oggi vota per eleggere il suo nuovo sindaco. I seggi, aperti alle sette ora locale, chiuderanno alle 22. Un appuntamento elettorale che arriva dopo due mandati di seguito targati Boris Johnson, il sindaco pasticcione e simpaticone, compagno di goliardiche bisbocce di David Cameron a Eton e Oxford e capace di far parlare di sé soprattutto per le boutade, le gaffe, un’invidiabile intimità con i candelabri e le fini stoviglie dei ricevimenti in cravatta nera, con il grande business, gli anarcoinvestitori, la privatizzazione e la speculazione endemica.

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D’elusione fiscale

La wikileaks che ha colpito i server della Mossack Fonseca, lo studio legale con sede a Panama specializzato nell’aiutare i milionari globali dell’un per cento a imboscare i propri redditi, leciti e non, per eludere ed evadere le tasse, continua a provocare il serio imbarazzo di David Cameron, l’unico primo ministro di un vasto stato europeo a essere stato finora chiamato in causa dalla pubblicazione di dati.

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Should we stay or should we go

La campagna referendaria prosegue febbrile, l’approssimarsi del 23 giugno, data in cui la Gran Bretagna voterà il referendum sulla sua permanenza nell’Unione Europea, porta con sé foschi presagi per Remain, il “partito” a favore di quest’ultima. Continue reading “Should we stay or should we go”

Brexit Johnson: fuori dell’Europa, dentro Downing Street

Tapino David Cameron, cui non è dato assaporare l’effimero nettare della vittoria. Nemmeno era rientrato da Bruxelles, raggiante e con in tasca i termini della rinegoziazione della partecipazione britannica all’Ue strappati ai suoi colleghi europei, che già incassava la defezione del rivale: il dotto, giullaresco e assai apprezzato sindaco di Londra Boris Johnson.

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George mani di forbice

Il cancelliere George Osborne, ministro delle finanze in carica e architetto principale dell’austerità, è anche un po’ primo ministro in pectore: una volta fattosi da parte David Cameron (ritiro già annunciato prima delle elezioni del 2020), né la filoxenofoba Theresa May agli interni, né il giullaresco sindaco di Londra Boris Johnson al momento paiono rivali davvero temibili, anche perché la crescita dell’economia del paese — calcolata dall’Office for budget responsibility (OBR) al 2.4% nel 2015 e 2016 — sostiene egregiamente il consenso del partito presso le classi medie del sud dell’Inghilterra, da sempre zoccolo duro dell’elettorato conservatore.

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L’eresiarca

Mai come nel caso del neoe­letto lea­der del Labour Party, Jeremy Cor­byn, si era inver­tita la pira­mide gerar­chica all’interno di un par­tito di oppo­si­zione, con la base che ha spet­ta­co­lar­mente scip­pato il timone alla diri­genza. E le con­se­guenze sono dirom­penti, sia per le riper­cus­sioni negli equi­li­bri interni al par­tito e nella pro­pa­ganda dei con­ser­va­tori – il cui con­gresso, tenu­tosi a Man­che­ster, si è appena con­cluso — che per via dell’ormai ben nota ere­sia cor­by­niana su due car­dini dello sta­tus quo politico-istituzionale del paese: gli arma­menti nucleari e la monar­chia.

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